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Esaltare il martirio della jihad non deve essere considerato alla stregua di un reato di terrorismo internazionale di matrice islamica: a stabilirlo è stata una sentenza della Cassazione, relativa all’assoluzione di quattro presunti jihadisti della moschea di Andria, in Puglia.
‘Gli imam e i loro seguaci che intendessero intraprendere un’attività di proselitismo finalizzata a indurre una generica disponibilità a unirsi ai combattenti per la causa islamica e a immolarsi per la stessa, non compiono reato di terrorismo se la formazione teorica degli aspiranti martiri non è affiancata anche dall’addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento’, sono queste le ragioni addotte dai Giudici dell’Alta Corte.
I Giudici riconoscono che l’indottrinamento possa costituire una precondizione al compimento di atti terroristici, tuttavia ‘non integra gli estremi perché tale risultato possa dirsi conseguito’.
In conclusione, chiunque scegliesse di dedicarsi esclusivamente al ‘proselitismo jihadista’ non rischia una condanna, verrebbero tuttavia adottate misure preventive come l’espulsione. La differenza tra proselitismo e reclutamento è pertanto fondamentale: nel primo caso il rischio è quello appunto di essere espulsi, mentre nel secondo si paga con una pena detentiva.
A tal proposito, secondo uno studio britannico il 27% degli jihadisti, messi sotto esame, è stato radicalizzato in carcere, mentre il 57% era stato in prigione prima di avvicinarsi ad ambienti radicalizzati: ‘Ed è qui, in prigione che negli ultimi due anni lo Stato Islamico ha concentrato i maggiori sforzi per reclutare nuovi adepti’.