La scelta anti immigrati di Donald Trump ha fatto il giro del mondo e ha scatenato enormi proteste, ma non è una prima assoluta per gli States. La nazione fondata da immigrati europei, scappati dalle persecuzioni religiose e dalla fame, ha una lunga lista di divieti nei confronti degli stranieri non bianchi e non cristiani. Fin dai primi documenti riguardanti l’immigrazione, gli USA hanno eretto muri legislativi, cacciando dal paese intere etnie. A conti fatti, i musulmani sono gli ultimi di una lunga lista di esclusi. Stupirsi delle politiche restrittive del neo presidente è quanto meno strano, specie per gli stessi americani che conoscono (o dovrebbero conoscere) le enormi limitazioni che hanno imposto agli stranieri fin dalla loro fondazione: vediamo alcune.
Una premessa è d’obbligo. Il fatto che ci siano altri divieti su base etnica non rende meno grave la decisione di Trump, specialmente in un momento così critico. La particolarità della nuova messa a bando è di colpire solo alcuni paesi a maggioranza musulmana, ma non tutti: viene indicato lo Yemen ma non l’Arabia Saudita che proprio contro gli yemeniti sta combattendo una guerra feroce da almeno due anni, lasciando morire letteralmente di fame i civili. In più, colpisce anche i profughi che, almeno sulla carta, sono protetti dal diritto internazionale. Inoltre, è la prima volta che una decisione di questa portata si confronta con la società dei social network e del villaggio globale, dove la regola per tutti (compresi gli europei, giovani e non) è partire alla ricerca di una vita migliore.
In ogni caso, Trump avrebbe dovuto sapere che le politiche restrittive non hanno mai fermato l’immigrazione verso gli Stati Uniti che si sono auto eletti il Paese della Libertà, dove ognuno ha la possibilità di vivere il proprio “sogno americano”. Al nuovo inquilino della Casa Bianca non è servita neanche la sua storia familiare, visto che la mamma di Trump era un’immigrata arrivata da un paesino della Scozia.
Solo i bianchi ‘liberi’
La storia dei divieti per gli stranieri negli USA ha origini antichissime e risale al primo documento ufficiale sull’immigrazione. Il Naturalization Act del 1790 limita solo agli “stranieri liberi (cioè non schiavi ndr) e bianchi” (“any alien, being a free white person” è la precisa citazione) l’ingresso nel paese e l’accesso alle procedure di cittadinanza. Fino al 1870, quando l’atto si estende agli “stranieri di origine africana e alle persone di discendenza africana” con i primi schiavi liberati, tutti coloro che non sono bianchi non hanno alcun diritto di rimanere nel paese, il che non ha mai fermato l’immigrazione, come la stessa epopea del West ci ha raccontato (compreso il genocidio dei nativi).
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No ai musulmani
L’essere bianco include una condizione che allora era data per scontata: l’essere cristiani. Come ha ricordato Khaled A. Beydoun, professore di legge all’Università di Detroit e alla Università di Berkeley, una sentenza della Corte Suprema del 1891 sottolineava “l’intensa ostilità dei musulmani nei confronti delle altre confessioni, in particolare i cristiani”. Per capirci, il primo arabo musulmano a chiedere di diventare cittadino statunitense è stato Ahmed Hassan: originario dello Yemen (uno dei paesi colpiti dal bando di Trump), si vide negata la cittadinanza nel 1942 perché l’indicazione “white person” è chiara e “gli arabi non sono bianchi, quindi non possono avere la cittadinanza (qui il testo completo della sentenza). Il primo a ottenerla fu Mohamed Mohriez nel 1944: in quel caso, la Corte riconobbe che l’uomo, originario dell’Arabia Saudita, ne aveva diritto perché la “razza araba poteva essere considerata parte della razza bianca”.
No ai cinesi
Chiunque abbia visto un film western, avrà notato l’alta presenza di cinesi nel Far West fin dagli albori, eppure gli USA negarono l’ingresso alle persone di origine cinese già nel 1882 con il Chinese Exclusion Act. Siglato dal presidente Arthur Chester, proibiva l’ingresso nel paese a ogni lavoratore arrivato dalla Cina. La decisione è stata rinnovata con l’Angell Treaty del 1880 e con il Geary Act del 1892, rinnovato nel 1902 con l’aggiunta di restrizioni molto forti per chi era già su suolo americano, come la necessità di registrarsi e ottenere un certificato di residenza, senza il quale sarebbe scattata la deportazione. Il divieto fu abolito nel 1943 con il Magnuson Act che ha permesso ad alcuni immigrati cinesi già residenti di diventare cittadini, pur non permettendo loro di possedere proprietà o attività.
Non tutti gli ebrei
La nazione che più ha contribuito a sconfiggere il nazismo, ha permesso che migliaia di ebrei morissero sotto Adolf Hitler. Fu infatti il presidente Franklin Delano Roosevelt a mettere restrizioni negli ingressi per gli ebrei in fuga dall’Europa, stabilendo in 25mila all’anno il numero massimo consentito. Il motivo? Rappresentavano un problema per la sicurezza nazionale. Il caso più noto è quello della MS St. Louis, detta anche la SS St. Louis: partita dalla Germania con a bordo 963 profughi ebrei nell’estate del 1939, venne respinta prima da Cuba e poi dagli States, dovendo infine rientrare in Europa. Secondo quanto ricostruito da Scott Miller e Sarah Ogilvie dell’United States Holocaust Memorial Museum, dei 620 passeggeri che tornarono nel Vecchio Continente, 254 morirono nei campi di concentramento. Tra gli ebrei che non vennero accolti dagli States risultano esserci anche Anna Frank e la sua famiglia.
My name is Joachim Hirsch. The US turned me away at the border in 1939. I was murdered in Auschwitz pic.twitter.com/pfvJtMpIps
— St. Louis Manifest (@Stl_Manifest) 27 gennaio 2017
No agli anarchici (e agli epilettici)
Risale al 1903 l’Anarchist Exclusion Act, firmato dal presidente Theodore Roosevelt, che vietava l’ingresso negli USA agli anarchici e ai simpatizzanti di altre “idee politiche estremiste”. L’atto nasceva dopo alcuni episodi di violenza registrati nel paese e soprattutto dall’uccisione del presidente William McKinley, avvenuta nel 1901 per mano dell’anarchico Leon Czolgosz, di origine polacca. Oltre a loro, l’ordinanza presidenziale vietava l’ingresso ai malati di epilessia, ai mendicanti e ai trafficanti di prostitute.
No ai comunisti
In pieno maccartismo il presidente Harry Truman sigla l’Internal Security Act del 1950, noto anche come McCarran Act che rende possibile la deportazione di ogni immigrato ritenuto membro del Partito Comunista, vietando, nel migliore dei casi, di prendere la cittadinanza. Solo nel 1993 la Corte Suprema lo dichiara incostituzionale, anche se alcune parti sono ancora in vigore.
No agli iraniani
Gli iraniani erano già finiti tra gli immigrati banditi dagli USA. Siamo nel 1980, a seguito della crisi degli ostaggi quando 52 diplomatici americani furono tenuti in ostaggio per 444 giorni a Teheran, capitale dell’Iran: il presidente Jimmy Carter firma l’ordine esecutivo 12211 che elenca diverse sanzioni contro il paese tra cui il divieto di ingresso per tutti i suoi cittadini. Le sanzioni poi rientrarono nell’ambito della risoluzione della vicenda: molto diverso dunque da quanto fatto oggi da Trump.
No ai malati di AIDS
Nel 1987 sotto la presidenza di Ronald Reagan, seguendo una politica fortemente discriminatoria e bigotta, il Dipartimento della Sanità inserisce i malati di AIDS nella lista dei non graditi perché portatori di malattie infettive, seguendo più le credenze popolari che la scienza (alla base della decisione il falso mito della trasmissione del virus tramite il respiro o il semplice contatto). La decisione sarà resa ancora più dura nel 1993 con il cosiddetto Helms Amendment, dal nome del senatore Jesse Helms: sarà Barack Obama a cancellarli dalla lista nel 2009, terminando il lavoro incompiuto del suo predecessore, George W. Bush.
No, Obama con gli iracheni non ha fatto la stessa cosa
Infine, un chiarimento. Trump si è difeso dicendo che anche Obama fece la stessa cosa quando vietò l’ingresso ai cittadini iracheni. Non è però la stessa cosa. L’ex presidente emise nel 2011 il decreto che impediva per sei mesi l’ingresso ai rifugiati iracheni dopo aver scoperto che due terroristi di Al Qaeda vivevano come rifugiati in Kentucky. L’ordine è rientrato dopo le indagini. La differenza è che Obama non ha esteso l’ordinanza a tutti i cittadini iracheni, compresi i titolari di green card, come ha fatto Trump, ma ha limitato la restrizione a un preciso gruppo di persone sulla base delle indicazioni dei servizi segreti. Questo non significa che la sua scelta non abbia avuto conseguenze su singoli, ma non era certo diretta a un intero popolo, come quella del suo successore: uno dei primi a essere fermato con l’ordine di Trump è stato Hameed Darweesh, interprete iracheno per l’esercito statunitense.