L’unica certezza, almeno per ora, fra tante incertezze, è che il 5 giugno si svolgeranno le elezioni amministrative. Un termine, quest’ultimo, su cui soffermarsi è doveroso. Perché, se è vero che da oramai cinque anni (il tempo in cui, secondo il nostro ordinamento, dovrebbe durare una legislatura!) non abbiamo Governi eletti dal popolo e, quindi, sembra naturale che qualsiasi consultazione popolare, le cosiddette “elezioni” appunto, appaiano come una possibilità di giudicare l’operato di esecutivi che ci sono stati imposti, è anche vero che non si può ritenere qualsiasi votazione un esame per il governo di turno! Qualsiasi elezioni, altrimenti, finirà per svilirsi di qualsiasi significato.
Alla ricerca della legittimità del potere
Sin dal 16 novembre 2011 il potere esecutivo in Italia ha un problema: la sua stessa legittimità. In quella data si insediò, infatti, il “governo tecnico” di Mario Monti, poi il “governo delle larghe intese” di Enrico (o Gianni?) Letta e, in ultimo, Matteo Renzi che, avendo ottenuto la segreteria del Partito Democratico, si è convinto di aver anche conquistato il diritto a governare il Paese, un po’ come quando bastava la scalata all’interno della Democrazia Cristiana, di fatto unico partito per oltre quarant’anni, per assicurarsi il posto a capotavola a Palazzo Chigi.
Chiunque in questi 5 anni si sia trovato a governare questo Paese, non essendo stato eletto dal popolo, anche a causa di una legge elettorale studiata appositamente per garantire l’ingovernabilità più che la governabilità (per stessa ammissione di chi l’ha scritta), ha dovuto affrontare il problema di vedersi riconosciuto il potere che egli stesso si era attribuito. Soprattutto per rispondere agli attacchi delle eventuali opposizioni, qualora effettivamente ce ne siano, che proprio sulla legittimità del Governo, forse per mancanza di altre tematiche, hanno basato e basano la loro attività oppositrice.
Così c’è chi ha intravisto una certa forma di legittimazione nel plauso di una qualche commissione europea di fronte a una qualsiasi riforma proposta, chi in qualche votazione parlamentare in cui è riuscito a ottenere una traballante maggioranza e chi in successive tornate elettorali che nulla hanno, o almeno dovrebbero avere, a che vedere con le elezioni politiche, ovvero quelle volte a eleggere il Parlamento e che, a sua volta, darà la fiducia al Consiglio dei Ministri e al suo Presidente.
Le elezioni politico-europee e i referendum sulla fiducia
Emblematico è il caso delle votazione di maggio 2014, in cui il neonato Governo Renzi lesse – e, dal canto suo, non del tutto a torto – un’approvazione popolare del suo breve (si era insediato soltanto il 22 febbraio) operato, benché quelle elezioni servissero, almeno in teoria, esclusivamente a eleggere i rappresentanti italiani al Parlamento Europeo e non certo a riconoscere una qualche legittimità all’esecutivo italiano.
Sicuramente l’aver superato il 40% di voti fu un risultato ottenuto anche sulla scia, forse più emotiva che razionale, dell’entusiasmo nei confronti del nuovo Governo, ma questa è ottima dietrologia per l’analisi politica. Non può e non deve in alcun modo trasformarsi in ufficiale legittimazione di un potere politico non eletto. Così come non può e non deve trasformarsi in un plebiscito per il Governo l’aver mandato a monte una proposta referendaria, come quella appena trascorsa sulle trivelle.
La battaglia politica vinta da Renzi nel caso del referendum sulle trivelle è, infatti, stata quella di far confermare, o almeno non sconfessare, dal popolo una propria proposta di legge e non l’obbedienza al volere del premier. Altrimenti sarebbe come porre una sorta di “questione di fiducia” al Governo anche nei referendum, tale per cui tutti i cittadini favorevoli a quel governo devono votare come questo propone, abolendo di fatto la libertà di dissenso circoscritta a un argomento. E quindi la politica, nei palazzi romani quanto fra gli elettori, diventerebbe esclusivamente una questione di schieramento, uccidendo completamente la “libertà di coscienza”.
Oggi quello stesso elettore potrebbe, quindi, disprezzare del tutto le iniziative di Matteo Renzi, ma essere elettoralmente attratto dal candidato Sindaco nella propria città, benché dello stesso schieramento di cui parrebbe essere espressione questo governo.
L’assenza di schieramenti
E’ a proposito dello schieramento che sorge il primo e il più evidente problema nel considerare le prossime elezioni amministrative (è bene ricordarlo!) una legittimazione del governo. Di che schieramento è un governo delle larghe intese?
Il Nuovo Centro-Destra di Angelino Alfano, Ministro del Governo Renzi, ad esempio, a Milano appoggia Stefano Parisi, candidato da Forza Italia e Lega Nord, principali forza di una opposizione (l’altra è il Movimento5Stelle), e non Beppe Sala sostenuto dal Partito Democratico, primo partito di Governo.
Un elettore potrebbe, allora, voler votare Parisi convinto che l’influenza del Nuovo Centro-Destra sul futuro Sindaco di Milano sarà proficua come lo è sul Governo di Matteo Renzi? E’ un paradosso, ma come si potrebbe, in tal caso, ritenere quel voto contrario al Governo, di cui Alfano fa parte? Anzi sarebbe a favore, perché quell’elettore sarebbe talmente persuaso del buon lavoro svolto da Ncd a livello nazionale da volerselo assicurare anche a livello locale, a prescindere da chi sia il Sindaco.
La necessaria centralità delle persone
A maggior ragione in un clima così variegato e diversificato nella composizione degli schieramenti (alleati a Milano corrono gli uni contro gli altri a Roma) è quanto mai impossibile e pericoloso ridurre questa tornata elettorale a una mera questione di schieramenti, senza peraltro dare importanza alle persone che si candidano!
Ora più che mai dovremmo, noi elettori, ridare la giusta centralità alle persone che si candidano nell’esercitare il nostro diritto/dovere di voto, senza limitarci a decidere in base allo schieramento che li sostiene che, appunto, varia da realtà a realtà, da contesto a contesto. Soprattutto fra il contesto nazionale e quello locale.
Una centralità, quelle dei candidati e quindi dei futuri rappresentanti, che tutti reclamano – giustamente – a gran voce quando si tratta di riformare la legge elettorale affinché si possano esprimere le preferenze su quali persone vogliamo che, all’interno delle liste elettorali, vengano effettivamente elette. Una centralità necessaria perché quei candidati, qualora venissero eletti, possano agire secondo “libertà di coscienza” e non ordini di schieramento.
La scelta di Nanopress.it
Se tutti si occupano delle prossime elezioni amministrative in chiave nazionale, e quindi quale legittimazione o delegittimazione del Governo Renzi, noi di Nanopress.it abbiamo deciso di riportare l’attenzione sull’aspetto più locale che c’è: le municipalità!
Dal giudizio su chi amministra l’intero Paese a quello su chi potrebbe amministrare il quartiere di una qualsiasi città. Noi abbiamo scelto la nostra: Milano. Avrebbe potuto essere Roma, Napoli, Torino, ma anche qualsiasi città non ancora chiamata alle urne. Le elezioni nei municipi 1, il più centrale in assoluto, e 8, più periferico e quindi con diverse problematiche, di Milano quale sineddoche di quello che dovrebbe essere qualsiasi elezione amministrativa!
E, lanciando questa provocazione, abbiamo anche voluto ridare la centralità che meritano alle persone, a quattro candidati qualsiasi, come sicuramente ce ne saranno molti altri.
Quattro candidati, tutti alla prima esperienza in politica, tutti molto giovani e, ovviamente, di diversi schieramenti politici, raccontano le elezioni amministrative 2016, dal loro punto di vista.
Ma soprattutto quattro candidati da seguire, soprattutto se saranno eletti, per riscoprire noi stessi quale deve essere il ruolo degli elettori nelle elezioni. A prescindere dalla cabina elettorale!
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