La Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF), presentata dal premier Mario Draghi e dal ministro dell’Economia Daniele Franco, è stata approvata dal Consiglio dei Ministri.
Il rapporto fotografa lo stato dell’economia italiana a legislazione vigente, ossia senza indicare obiettivi programmatici o politiche economiche diverse da quelle sinora in atto, cose che saranno eventualmente definite dal nuovo esecutivo neo-eletto.
Dopo sei semestri di crescita oltre le aspettative, per l’economia italiana si prospetta un periodo più faticoso e “zoppicante”. Il motivo sono le note convergenze sfavorevoli a livello internazionale che impattano, con gradazioni diverse, molti Paesi del globo, a cominciare dalle nazioni europee.
L’esegesi di ciò è nota a tutti da vari mesi: guerra ucraina e nuove forti tensioni internazionali hanno fatto schizzare i prezzi dell’energia e provocato una spirale inflazionistica che dall’energia stessa si riverbera su tutto il sistema produttivo, specie per uno improntato sull’industria trasformativa e sulle esportazioni come quello del Bel Paese.
In ogni caso il PIL 2022 non ne sembra ancora coinvolto, anzi a dispetto del +3.1% calcolato in aprile, il nuovo NADEF appena sottoscritto sposta l’asticella della crescita ad un +3.3%. Ciò sarebbe dovuto ad un primo semestre di crescita inaspettata, da bilanciare con il rallentamento della seconda metà dell’anno.
Altro valore battuto in positivo è quello dell’indebitamento netto tendenziale, passato dal 7.2% al 5.1% (contro una stima che lo poneva al 5.6%): qui è soprattutto la moderazione nella spesa pubblica e l’andamento positivo delle entrate finanziarie ad aver favorito la discesa del parametro.
Altro aspetto affrontato dalla Nota redatta dal Presidente Draghi e dal ministro dell’Economia Franco è il famigerato rapporto debito/PIL, nota storicamente dolente per la finanza della Penisola.
Come per gli altri valori finora esposti, anche in questo frangente si ha un balzo positivo, in quanto il quoziente passa dal 150.3% al 145.4% e, stante così le cose, potrebbe raggiungere il 139.3% entro il 2025.
I veri problemi, o in ogni caso valori non così ottimi, potrebbero aversi dal prossimo anno, il 2023. Il prolungarsi, se non proprio l’acuirsi, delle dinamiche belliche, inflattive, energetiche e protezionistiche saranno causa di un indebolimento tanto del commercio globale quanto dell’economia dell’Eurozona.
Per l’Italia dunque si prevede per il prossimo anno una crescita dello 0.6%, contro una stima precedente del +2.4%; mentre il deficit tendenziale è quotato al 3.4%, comunque inferiore all’obiettivo programmatico del 3.9%.
Di conseguenza il governo pronostica un rallentamento dell’economia italiana, tuttavia senza effetti catastrofici, anzi dovrebbe essere scongiurato il rischio recessione.
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