In attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei tre decreti attuativi rispettivamente sul riordino delle tipologie contrattuali, sugli strumenti a sostegno del reddito e sui tempi di conciliazione vita e lavoro delineiamo brevemente le novità principali del nuovo testo legislativo che rivoluziona gli assetti fino ad oggi conosciuti di relazione fra il mercato del lavoro e i lavoratori. Infatti fino alla Legge Fornero la flessibilità del Lavoro e il contenimento dei costi venivano perseguiti attraverso i rapporti di lavoro flessbili (subordinati, coordinati e autonomi, associativi) senza toccare il contratto di lavoro a tempo indeterminato.
La temporaneità di questi rapporti, spesso utilizzati in maniera improprio con il solo obiettivo di mascherare dei falsi rapporti di lavoro a tempo subordinato, comportava per i lavoratori, soprattutto per i giovani non solo una occupazione discontinua ma anche l’assoggettamento all’aleatorietà del rinnovo del contratto.
Con questa Riforma non esente da contradditorietà e lacunosità il Governo ha provato ha ribaltare la prospettiva incentivando le imprese a utilizzare il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ritenendo che con esso possa crescere la produttività del lavoro anche per gli investimenti formativi che il datore può programmare.
Per realizzare questi obiettivi il legislatore interviene su molti aspetti ma sono tre i punti determinanti: 1) una forte riduzione del costo del (solo) contratto a tempo indeterminato realizzata con la legge di stabilità del 2015 che prevede un generale esonero contributivo triennale e l’integrale deducibilità ai fini dell’Irap; 2) la flessibilità funzionale interna alla gestione del rapporto di lavoro; 3) un regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo che renda certi i costi ed escluda la reintegrazione nei posti di lavoro prevista dall’art 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Meritevoli gli sforzi del legislatore di creare un mercato del lavoro dinamico, inclusivo e competitivo ma siamo sicuri che il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti sia lo strumento giusto?
L’intento primario del Jobs Act di promuovere la flessibilità in entrata e il tempo indeterminato attuato con la forma dell’esonero contributivo per un periodo di 36 mesi per le assunzioni effettuate dopo il 31 dicembre 2015 (legge di stabilità 2015), sembra insufficiente e precario.
Infatti cosa accadrà al termine del triennio di esonero contributivo? Aumenteranno i licenziamenti collettivi?
Inoltre, fra le possibili e immediate conseguenze connesse all’introduzione del contratto di lavoro a tutele crescenti vi è la creazione di un “dualismo” di categorie di lavoratori, quelli che soggiacciono alla nuova disciplina e quelli a cui continuerà ad applicarsi la “vecchia” formulazione dell’articolo 18.
Non solo.
Anche sull’asserita e più volte dichiarata volontà del Governo di diminuire il contenzioso il nuovo testo normativo non sembra soddisfare l’obiettivo dichiarato.
Infatti, le modifiche apportate in materia di licenziamenti se da un lato diminuiranno il contenzioso dall’altro lo innalzeranno per i licenziamenti asserita menti discriminatori e illeciti e per quelli disciplinari, qualora venisse dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale posto alla base dei medesimi, essendo questi gli unici strumenti a disposizione dei lavoratori per ottenere la reintegra nel posto di lavoro.
Sebbene sia troppo presto per una valutazione complessiva della portata e degli effetti delle innovazioni che il Governo si appresta a realizzare, già si delineano all’interno del testo normativo delle incongruenze e delle lacune che fanno dubitare dell’idoneità di tale forma contrattuale alla creazione di nuova competitività nel mercato del lavoro nazionale.
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