Riformare il PD guardando al progetto unitario dell’Ulivo, altrimenti meglio ricreare un Nuovo Ulivo uscendo dal “partito della nazione”. Parole di Rosy Bindi, attuale Presidente della Commissione Antimafia e ex presidente del PD, che lancia l’ultimatum a Matteo Renzi e alla sua gestione del partito dopo il voto alla Camera sul Jobs Act. A Montecitorio si è consumato l’ennesimo strappo tra maggioranza e minoranza: la riforma renziana del lavoro è passata, ma ha visto i voti contrari di 34 esponenti dem tra cui la stessa Bindi. “Se il PD rimane quello che è ora ci sarà bisogno di una forza politica nuova”, dice in una lunga intervista concessa al Corriere della Sera. Per l’esponente dem è tempo di ritornare allo spirito dell’Ulivo che portò Romano Prodi al governo (per poi affondarlo), altrimenti la spaccatura sarà inevitabile.
Il voto sul Jobs Act ha formalizzato la spaccatura dei democratici. Per Rosy Bindi il no è stato il modo per rimarcare la distanza dal provvedimento che, a suo dire, è “un passo indietro profondo, secolare” sul lavoro. L’ex presidente del partito non solo non ha condiviso il merito della riforma, ma ha voluto segnalare la sua personale distanza con il messaggio costruito da Renzi in questi mesi, quel “un solco tra il governo, il segretario del PD e il mondo del lavoro, la parte più sofferente dell’Italia”, arrivata con la “delegittimazione del sindacato e una provocazione davvero lontana dalla situazione reale degli italiani”.
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La gestione del partito di Renzi, dice la Bindi, è un fallimento, è già in caduta. L‘astensionismo alle elezioni Regionali non è un dato secondario, come ha detto il premier, ma un “grave problema per la democrazia, per il PD e il governo”, anche perché avrebbe gonfiato i numeri della vittoria dei dem che, senza gli astenuti, sarebbe intorno al 30% e non al 41% delle europee.
È un dato anche politico, sottolinea, perché Renzi si è messo in prima persona a fare campagna elettorale e ha usato il palco per lanciare l’ennesimo affondo contro i sindacati, fatto grave per la Bindi che contesta tutta la linea del segretario, visto come “l’ennesimo salvatore” a cui gli italiani si aggrappano per poi rimanere delusi.
Non si sente rottamata, spiega, ma guarda agli elettori persi dal PD che ha dunque bisogno di una rifondazione con lo sguardo al passato, al progetto che ha portato alla nascita del partito. Tutti i maggiori provvedimenti del governo sono negativi: la riforma costituzionale “umilia il Parlamento”; la legge di stabilità è una “finta restituzione delle tasse”; l’Italicum “non ha più futuro senza il Patto del Nazareno“.
Una bocciatura netta e una spaccatura sempre più profonda tanto da poter portare a una scissione e alla creazione di un Nuovo Ulivo, una formazione della “sinistra riformista e plurale, ma una sinistra”.
La contestazione della minoranza è profonda. Non è solo un dissenso sul singolo provvedimento ma è su tutta la linea politica intrapresa dal PD di Renzi che, secondo la Bindi, si è allontanato dal progetto iniziale di unificazione delle linee più progressiste del centrosinistra. Si auspica un confronto con il segretario, soprattutto in vista della prossima elezione del Capo dello Stato, ma la minoranza dem è pronta anche a formare un nuovo partito se necessario.
Il duro attacco della Bindi appare come un ultimatum al premier: aprire un confronto sulla linea politica o sarà scissione e la creazione di una formazione politica che sarà più a sinistra del maggior partito della sinistra italiana.
In mezzo anche un passaggio fondamentale e delicato come l’elezione del Presidente della Repubblica, usato ormai come paravento dalla minoranza dem come da Forza Italia. Tutti chiedono un nome condiviso, ma al momento nessuno vuole scendere a compromessi. Il Colle rischia di diventare merce di scambio per la sopravvivenza di un dialogo politico che sembra ormai destinato a fallire, con tutti gli interlocutori fermi sulle loro posizioni.