“Lodare Mattarella come antimafia perché il fratello fu ucciso dalla mafia è falso e ipocrita perché allora bisognerebbe dire anche che il padre era vicino alla mafia“. Parola di Riccardo Muti, deputato M5S che, in un posto su Facebook, si scaglia contro il candidato al Colle, insinuando legami con la criminalità organizzata. Siciliano, palermitano doc, Sergio Mattarella perse il fratello Piersanti il 6 gennaio 1980, allora Presidente della Regione Sicilia, in un agguato di mafia: il padre Bernardo era un politico molto noto, più volte ministro della DC. “Se è vero che gli errori dei genitori non possono ricadere sui figli, allora non possono essere utilizzate altre vicende dei parenti in base alla propria convenienza. L’uccisione di un parente da parte della mafia (i motivi possono essere tanti e diversi fra loro) non da nessun bollino di garanzia di lotta alla mafia“, conclude Nuti. Ci sono però alcune cose che il deputato si dimentica: le accuse di collusione con la mafia sono state già certificate come false con sentenze scritte dalla magistratura italiana.
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Il deputato penstallelato non è però il primo che attacca il probabile prossimo Capo dello Stato. Dal M5S è partito un attacco incrociato già nel corso della seconda votazione: dal blog di Beppe Grillo è stato accusato di “aver mentito sull’uranio impoverito” quando era ministro della Difesa. Anche Nicola Morra ha lanciato insinuazioni sul rapporto della famiglia Mattarella con la mafia siciliana. “Essendo della DC, proviene simbolicamente da una tradizione che in relazione alla mafia ha tanto da chiarire e farsi perdonare“, ha dichiarato il senatore.
Le (false) accuse contro Bernardo Mattarella
Quello che forse gli esponenti pentastellati dimenticano è che chi accusò Bernardo Mattarella di essere colluso con la mafia fu condannato per diffamazione e questo accadde per tre volte. Nel 1965 il sociologo Danilo Dolci lo accusò di collusione con la mafia, facendo scattare la denuncia per diffamazione. La Corte di Cassazione dopo due anni condannò Dolci a due anni e al risarcimento (che la famiglia non riscosse): “Mattarella ha espresso sempre in modo inequivoco la sua condanna del fenomeno mafioso“; “non è mai entrato in contatto con l’ambiente mafioso da lui invece apertamente e decisamente osteggiato nel corso di tutta la sua carriera politica“; le accuse sono “frutto di irresponsabili pettegolezzi, di malevoli dicerie se non addirittura di autentiche falsità“. Queste le parole cristallizzate nella sentenza emessa dal Tribunale di Roma nel 1967 e poi confermate in Cassazione.
Nonostante tutto, ci furono altre insinuazioni sul suo operato. Nel 1992 fu l’ex Guardiasigilli Claudio Martelli ad attaccare. “Bernardo Mattarella, secondo gli atti della commissione antimafia e secondo Pio La Torre, fu il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal fascismo, dalla monarchia e dal separatismo, verso la Dc. Può darsi, come molti affermano, che il figlio Piersanti si sia riscattato da quella storia familiare e che per questo sia caduto“, disse all’epoca in polemica con la vedova per la campagna elettorale del 1987.
Parole che scatenarono una reazione dura dello stesso Sergio Mattarella. “Martelli la deve smettere con questa incivile abitudine di insultare le persone morte da tempo; questo attiene non alla politica ma soltanto alla educazione e alle basi elementari della convivenza civile ed umana“, disse allora. “E poi sono tutte menzogne. Mio padre fu notoriamente antifascista, contro la mafia che era monarchica e separatista. Fu repubblicano e fu il principale avversario del separatismo in Sicilia come tutti sanno“. Infine un affondo contro l’ex ministro: “Martelli visto che, purtroppo, è ministro della Giustizia, potrebbe anche andarsi a leggere alcuni atti giudiziari e sentenze che dicono chiaramente quale è stato l’atteggiamento di mio padre nei confronti della mafia“.
I motivi dell’omicidio di Piersanti Mattarella
I motivi della morte di Piersanti Mattarella in realtà si conoscono e bene. Piersanti fu il primo Presidente della Regione Sicilia a tentare un governo allargato al PCI, esponendosi agli attacchi della criminalità. Iniziò a contrastare la criminalità da subito, come quando si schierò a favore della legalità nella gestione dell’Assessorato all’Agricoltura, facendo sue le accuse lanciate da Pio La Torre.
Il 6 gennaio 1980 cadde sotto i colpi di piombo della mafia: sul suo omicidio indagò Giovanni Falcone. La sua morte fa parte della lunga schiera di omicidi politici con cui Cosa Nostra terrorizzò la Sicilia in quegli anni. Nel 1995 vengono condannati all’ergastolo come mandanti della sua morte i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. A oggi però non si conosce l’esecutore materiale: la testimonianza della moglie di Mattarella, testimone oculare, e di altri non vennero ritenute attendibili. Secondo i testimoni, fu Valerio Fioravanti, ex terrorista nero dei NAR, a sparare, confermando il legame tra mafia ed estrema ipotizzato da Falcone nelle prime indagini.
Quello che è chiaro e certificato è la motivazione che portò la mafia a uccidere Piersanti: “L’istruttoria e il dibattimento hanno dimostrato che l’azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi“, si legge nella sentenza della Corte di Assise del 12 aprile 1995 n. 9/95 in cui si aggiunge che l’ex Presidente della Regione aveva “caratterizzato in modo non equivoco la sua azione per una Sicilia con le carte in regola“.
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