Gigi Riva, mai Luigi anche se all’anagrafe è registrato così, è ancora il giocatore che ha fatto più gol con la maglia della Nazionale italiana. Con gli azzurri, Rombo di Tuono, così come fu ribattezzato dal maestro del giornalismo sportivo, Gianni Brera, ha vinto solo (si fa per dire) un Europeo, nel 1968, due anni prima di portare il suo Cagliari a vincere l’unico scudetto della sua storia.
Oggi compie 78 anni ed esce anche un film documentario dedicato interamente a lui, alla Sardegna e alla squadra con cui Riva è stato un campione assoluto. Ci sono voluti vent’anni, ha spiegato il regista Riccardo Milani, a convincere l’ex attaccante a prestarsi per un racconto. Quello che ne è uscito è un dipinto di una persona profondamente riservata, ma determinata ed estremamente fedele, al suo Cagliari, alla terra che lo ha adottato, e a sé stesso, soprattutto.
Qualche mese fa, mentre giravo per delle bancarelle di una fiera, sono stata rapita da quella dei libri, in cui c’erano anche tantissime riviste, soprattutto di sport. Tra queste ho trovato una vecchissima edizione dell’Intrepido, un settimanale di fumetti per ragazzi, interamente dedicata a Gigi Riva.
Da sarda – ma non trovandomi in Sardegna – non ci ho pensato due volte a spendere quei pochi euro per portarmi a casa quel numero 39, che all’epoca costava 300 lire. La versione dell’attaccante raccontata nella rivista non era la stessa che si potrebbe avere oggi, non tanto perché sono passati dagli anni e lui non gioca più da parecchio, quanto perché quelle parole tratteggiano un personaggio che ancora non era diventato un idolo, piuttosto spiegano come dal Legnano sia arrivato al Cagliari.
Durante l’intervallo di una partita delle juniores dell’Italia contro la Spagna, dopo averlo osservato per parecchio tempo quando si allenano proprio in casa dei lombardi, il vicepresidente dei rossoblu del periodo, Andrea Arrica, acquista il cartellino di Riva per 37 milioni di lire. Renato Dall’Ara, presidente del Bologna, prova a rialzare la cifra a 50 milioni, ma l’accordo è già concluso e, anche se controvoglia, l’attaccante a poco più di 18 anni approda in Sardegna, dove deve giocare anche in Serie B.
Ma ci mettono un anno, i sardi, che poi sardi non sono, ad arrivare nel massimo campionato. E contro la Roma, a meno di vent’anni, il 13 settembre del 1964 fa il suo esordio. Due settimane dopo, poi, mette a segno anche il primo dei suoi 156 gol in Serie A, sempre e solo con la maglia della squadra della terra che lo adotta.
L’iniziale ritrosia nel trasferirsi in quella che è la mia isola si trasforma nel giro di pochissimo in un amore viscerale, non solo perché diventa l’idolo di un popolo, ma anche perché, quello stesso popolo, lo accoglie come fa con tutti, con rispetto, prima di tutto, ma anche con la cura, le attenzioni, senza mai sopraffarlo, quasi come fosse una madre, che lui non ha più. E questo lo dimostra quando, a fronte anche di tantissime offerte che gli arrivano da altre squadre, rimane in Sardegna, per sempre, dicevamo, anche dopo che smette di giocare.
Nel 1970, il 26 aprile, due anni dopo aver vinto la prima edizione degli Europei con la Nazionale italiana, Riva regala il primo e unico scudetto al Cagliari, entrando nella storia, soprattutto grazie alle sue 21 reti, che tra l’altro lo fanno laureare anche come capocannoniere. L’impresa, però, non viene replicata con gli azzurri qualche mese più tardi ai Mondiali in Messico perché gli uomini di Ferruccio Valcareggi vengono battuti in finale per 4-1 dal Brasile di Pelè, l’altro uomo più atteso con Riva del Mundial.
Con la maglia dell’Italia, in 42 presenze totali – la prima a vent’anni, quando ancora non ha espresso neanche tutto il suo potenziale in Serie A e l’ultima nel 1974, contro l’Argentina ai Mondiali – mette la firma su 35 gol. Da allora, nessuno è mai riuscito a battere il suo record, per la precisione: nessuno si è anche mai avvicinato.
È Rombo di Tuono, l’attaccante così ribattezzato da Gianni Brera – uno che con le parole specialmente riferite allo sport ci ha costruito una carriera da primo della classe – per il suo tiro che fa un rumore simile a quello di un tuono, appunto. Ed è il cannoniere italiano per antonomasia.
E oggi, che va per gli ottant’anni – ne ha compiuti 78 -, Riva si racconta in un film, che in realtà è un documentario, per cui il regista Riccardo Milani ha dovuto pregarlo per vent’anni, per mettere in scena sé stesso, la sua determinazione, la sua isola felice, la squadra in cui ha conosciuto la gloria eterna.
Chi non l’ha visto giocare, chi non ha rivisto spezzoni delle sue partite, potrà goderselo come anche chi c’era in quegli anni Sessanta/Settanta. E “Nel nostro cielo un rombo di tuono” a spiegare la grandezza dell’attaccante ci saranno anche Nicolò Barella, che ha fatto il viaggio contrario al suo idolo lasciando la Sardegna per andare in Lombardia, all’Inter, Roberto Baggio, un altro idolo nazionale, Gianfranco Zola, orgoglio sardo esportato in Inghilterra, ma anche Cristiano De Andrè e Massimo Moratti. E lui ha paura di emozionarsi troppo.
E quell’uomo venuto dalla Lombardia, da Leggiuno in provincia di Varese, nato il 7 novembre del 1944 non sarà mai uno come gli altri. Anche se l’ultima partita l’ha giocata che non ne aveva trentadue, di anni, anche se portare il peso della gloria “senza più la possibilità di rivendirla – come dice a Gigi Garanzini nella biografia edita da Rizzoli “Mi chiamavano Rombo di Tuono” – è durissima, anche un po’ crudele“.
Anche se, con un pizzico di fortuna in più, e due gambe funzionanti, avremmo potuto vederlo in campo per molto più tempo, a regalare ancora spettacolo, gol, il rimbombo inconfondibile del suo tiro, e quella sensazione di casa, di porto sicuro. E di gioia che solo Gigi Riva, specialmente per un sardo, significa. Silenzioso, riservato, umile, ospitale, umano ma leggenda.
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