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Su uno dei quotidiani più letti in Italia è apparso il racconto della storia dell’imprenditore che offre lavoro al nord, nella Bergamasca, senza successo, e che quindi viene costretto a ‘emigrare’ in Sicilia per poter occupare i posti vacanti nella sua azienda. E’ una vicenda che può sembrare strana, ma che mostra – forse – come viene percepito il lavoro in Italia, e la crisi in cui versano alcuni settori dal momento che la manodopera non è sempre così facile da trovare.
L’intervista all’imprenditore Marco Picecchi è apparsa sulle pagine de La Repubblica generando diversi commenti, anche di disappunto, nei lettori. L’amministratore delegato della At Phone, un call center di Alzano Lombardo, nella Bergamasca, ha dovuto cedere alle leggi del mercato trasferendo la sede della sua attività da Bergamo in Lazio (Latina) e in Sicilia, in provincia di Catania, a Paternò, per l’esattezza.
Il motivo? Forse al nord i call center non sono troppo amati, tanto che non riusciva a trovare dipendenti che volessero lavorare per la sua azienda.
Le parole dell’imprenditore sono state chiare: “Da queste parti (a Bergamo, ndr.) nessuno sembra interessato alla nostra offerta di lavoro”. Anche se, precisa l’ad: “Se uno è bravo da noi guadagna 1.100 euro al mese”. Ma se non è bravo, probabilmente guadagna molto meno, quindi lo stipendio varia in base alla produttività. Sarà stato questo dettaglio a scoraggiare possibili candidati?
L’imprenditore ha cercato di spiegare: “Sono contratti di lavoro a progetto, è vero. Ma mi sembra una buona opportunità. Formiamo noi chi arriva, perché per recuperare crediti bancari o societari devi conoscere i contratti”. Infatti la società in questione lavora nell’ambito della gestione e recupero crediti, lavora per grandi banche, clienti commerciali e società finanziarie.
Ad ogni modo l’imprenditore ha dovuto fare in conti con la realtà del lavoro in tutta la Lombardia, dato che dopo tre anni dall’apertura del call center di Alzano Lombardo sono state occupate solo un terzo delle postazioni disponibili (per un totale di 600 posti di lavoro), nonostante i ripetuti annunci: “Qui a Bergamo non trovo candidati. Siamo stati costretti a trasferire le sedi al Sud perché a Bergamo non si trovano candidati”, prosegue Picecchi: “Se nella Bergamasca nessuno è interessato alla nostra offerta di lavoro per l’economia locale è sicuramente un segnale positivo, vuol dire che non c’è crisi. Ma per noi no, abbiamo dovuto seguire altre strade e aprire al Centro e al Sud”.
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