È stato presentato al Festival di Cannes lo scorso maggio ed è subito stato un colpo dritto al cuore per molti. Un film che fa critica sulla società, che s’impone sugli altri per la morale e per l’etica ecologica che trasmette e per la sua natura di film streaming su piattaforma Netflix e non un film da sala cinematografica. Come War Machine, con Brad Pitt, Okja è uno dei film prodotti da Netflix nato per far discutere. Questa volta però l’obiettivo non è la guerra ma il maltrattamento degli animali, la macellazione e di fatto il cibo che l’uomo consuma. Okja si presta ad essere un classico del nuovo cinema da divano.
Il film diretto da Bong Joon Ho provoca. E questo è un punto importante del cinema. L’arte deve essere provocatoria altrimenti risulta un prodotto fine a se stesso e legato a interessi meramente economici. La favola che racconta il regista sudcoreano parte dagli Stati Uniti per poi fare tappa nella sua terra natale e tornare nella terra del consumismo e dell’incoerenza.
Mija, interpretata dalla giovanissima Ahn Seo-hyun, si prende cura del suo supermaiale, ricevuto dalla multinazionale Mirando, (che ha inviato in diversi paesi altrettanti supermaiali per ottenere il massimo da ogni allevatore. Il migliore, infatti, vincerà questo contest/premio) nella vaste campagne di Seul. Dopo dieci anni , quindi la maturazione necessaria, dovrà tornare dalla casa madre, la multinazionale Mirando, per l’ultimo ciclo produttivo che è la macellazione. Sembra una cosa orribile, sgradevole e malvagia ma accade tutti i giorni a migliaia di animali in tutto il mondo.
Quando l’equipe americana che si occupa del programma di sviluppo e macellazione arriva in Corea del Sud per prendersi l’ultima dei supermaiali per riportarlo negli States, Mija non ci sta e si trasforma in una sorta di Beatrix Kiddo (Kill Bill) sudcoreana. La sua corsa per liberare la sua amica e compagna di giochi Okja è senza freni. Nessuno riuscirà a fermarla fino a quando non l’avrà liberata.
Una favola classica se non arrivassero gli amici della gang vegani (o vegetariana) presentata come un gruppo di terroristi che amano mettere nel panico la città. È questo il punto di scontro tra bene e male nel film. Dove si mescolano le carte per ripartire ancora una volta da zero. È questo il punto chiave della favola di Bong Joon Ho. Sono i buoni o i cattivi? E perché sono l’uno o l’altro? Tutti portano avanti i loro obiettivi, la differenza, come per ogni cosa la fa il come. Qui, infatti, entra in gioco come l’azienda Mirando porta avanti i propri interessi. E come ogni grande azienda, purtroppo, li porta avanti senza grandi ideali, senza morale, senza etica, senza amore ma soltanto seguendo l’effimero godimento che si trae dal denaro.
Una traccia pulita. Un mix perfetto tra il sincerità di Miyazaki e la bontà di Spielberg. Il regista sudcoreano centra il punto e lo fa ripetutamente, andando ad analizzare passo dopo passo, anche con eventi cruenti e drammatici, la vita, gli stenti finali, degli animali che sono in procinto di essere macellati. La mancanza di cure, di amore, di attenzione verso le creature che porta chiunque a tifare per Mija, per Okja e per il gruppo di veganterroristi. La multinazionale sconfitta dall’amore, sconfitta dall’amicizia e dall’affetto.
Okja è un film che spara a zero contro le grandi aziende, contro la macellazione, contro i poteri, contro la spettacolarizzazione degli Stati Uniti (e l’Occidente in generale). Una favola semplice ma diretta e precisa. Grande la prova di Jake Gyllenhaal e di Paul Dano. Bella l’animazione di Okja, il supermaiale che ha cambiato la vita di una bambina e bella la regia e il racconto di Bong Joon Ho. Un film che regala amore per l’ecologia e il benessere da godere direttamente dal divano di casa insieme a tutta la famiglia.