Esiste un olio di palma sostenibile? È possibile? Negli ultimi anni la campagna mediatica contro questo prodotto ha portato alla luce numerose problematiche legate all’olio di palma, realizzato prevalentemente nel sud-est asiatico, e che si ritrova in tanti alimenti che finiscono negli scaffali dei nostri supermercati: aspetti controversi sia legati agli effetti sulla salute che a questioni prettamente di natura ambientale, in particolare riguardanti il dramma della deforestazione, a causa degli incendi che distruggono l’habitat naturale di svariate biodiversità per far spazio alle coltivazioni. Questo ha portato ad esempio numerose aziende a dare vita ad intere linee di prodotti senza olio di palma, per venire incontro alle esigenze di consumatori sempre più sensibili a tali questioni. Tuttavia negli ultimi tempi si è rilanciata con forza l’idea di una possibile sostenibilità dell’olio di palma, che ha condotto alla nascita di associazioni che difendono l’uso di questo prodotto, e che propongono persino una certificazione che ne attesti la provenienza da aree non danneggiate da incendi e distruzioni di foreste.
Davanti alla domanda se un olio di palma sostenibile sia possibile, le risposte sono molto complicate, ed indubbiamente divergenti a seconda delle diverse prospettive: noi proviamo ad esporre le tesi e le opinioni di chi lo difende, cercando di aprire un dibattito quanto più aperto possibile su un tema così delicato, sforzandoci di non trincerarci unicamente dietro la posizione intransigente di chi ritiene che la produzione di olio di palma rappresenti a prescindere un costo troppo elevato per il pianeta, ma mettendo al contempo in campo tutti i punti oscuri e le debolezze teoriche di chi troppo facilmente appoggia la tesi della sostenibilità.
Il problema ecologico: le piantagioni
In virtù della sua alta produttività, le piantagioni di olio di palma hanno conosciuto una rapida espansione: soltanto negli ultimi 10 anni nel Sud-est asiatico la sua coltivazione è triplicata, a danno delle foreste, periodicamente incendiate per fare spazio alle coltivazioni, con tutto il carico di conseguenze che vanno dall’aumento dello smog e dell’effetto serra, che influisce poi anche sui cambiamenti climatici, sino alla perdita di habitat per animali che vivono in quei luoghi, come gli oranghi. Uno sfruttamento intensivo delle foreste pluviali il cui impatto ambientale risulta essere devastante, come appurato da numerosi organismi internazionali.
Per far fronte a questa situazione, sono state messe in campo iniziative dal punto di vista normativo per rendere sostenibile le coltivazioni: in Malesia ad esempio il governo ha formalizzato il proprio impegno a lasciare intatto almeno il 50 per cento della superficie delle proprie foreste, vietando oltretutto l’utilizzo del fuoco per la creazione di nuovi spazi per le piantagioni. Ma vi sono altri organismi sovranazionali che hanno dato vita a veri e propri certificati che garantiscono una produzione di olio prodotto secondo criteri etici e ambientali prestabilitiper ridurre l’impatto ecologico, il più noto dei quali è quello della Rspo, acronimo di Roundtable on Sustainable Palm Oil, composto da 38 diversi parametri sociali, economici e ambientali, che attualmente ricopre il 20 per cento delle coltivazioni di olio di palma nel mondo, sostenendo anche i piccoli produttori del sud-est asiatico.
Ma anche a fronte delle pur lodevoli intenzioni, c’è chi ritiene impossibile la sostenibilità dell’olio di palma, come il biologo Roberto Cazzola Gatti, secondo cui ‘ciò che in realtà accade anche nel caso delle produzioni sostenibili è che le foreste primarie vengono tagliate e bruciate, per essere convertite in piantagioni da olio esattamente come quelle non certificate, solo che questo avviene dopo che è trascorso qualche anno dalla deforestazione illegale. Poiché nella maggior parte dei Paesi in cui si producono gli oli tropicali non esistono leggi che obblighino le autorità a redigere registri e a realizzare mappature aggiornate dei cambiamenti di uso del suolo, che possano essere utilizzati per sanzionare i tagli illegali ed evitare che un territorio inizialmente coperto da foresta possa esser trasformato in un’area agricola, è praticamente impossibile sapere se, dove ora cresce una piantagione di palma ‘certificata sostenibile’, solo fino a qualche anno fa non ci fosse una rigogliosa foresta‘. Un olio di palma ottenuto senza bruciare e tagliare foresta è più vicino ad un’illusione che alla realtà? Di certo la garanzia che non vi fossero alberi un tempo, lì dove adesso sorge una piantagione certificata sostenibile, appare faccenda quanto meno ardua.
Olio di palma fa male alla salute?
Se la questione legata alle piantagioni vede un riconoscimento comune del problema di base, ossia gli incendi e la deforestazione, da parte di entrambi gli schieramenti, più controversa è la questione correlata agli effetti sulla salute: l’olio di palma fa male o no all’organismo? Una risposta certa, assoluta ed indubitabile la scienza non è riuscita effettivamente a fornirla. È vero che nell’olio di palma si trova una concentrazione sicuramente molto alta di olio palmitico, circa il 44 per cento, un grasso saturo che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità provoca effetti aterogeni ed ipercolesterolemizzanti che aumentano il rischio cardiovascolare. Ma la demonizzazione dell’olio di palma aveva attribuito a tale prodotto anche effetti cancerogeni che sono stati smentiti: i test medici finora effettuati hanno dimostrato che non vi è alcun passaggio diretto dal consumo di prodotti con olio di palma al tumore, così come i rischi legati a diabete e malattie cardiovascolari non deriverebbero tanto dall’olio in sé quanto dai processi di raffinazione dei prodotti industriali, che coinvolgono invero qualsiasi prodotto alimentare, anche quelli sprovvisti di olio di palma. Un rischio quindi in cui incorriamo tutti i giorni mangiando prodotti non biologici. I dubbi sugli effetti dell’olio di palma sul nostro organismo permangono, e tuttavia, considerando che questo olio si trova soprattutto in prodotti dolciari, limitarsi a mangiarne il meno possibile resta comunque un consiglio di buon senso tanto ovvio quanto efficace.