È iniziato a Brescia il processo per l’omicidio di Laura Ziliani, l’ex vigilessa uccisa nella notte fra il 7 e l’8 maggio del 2021 dalle due figlie più grandi, Silvia e Paola Zani, e dal fidanzato della prima e amante la seconda, Mirto Milani. I tre sono stati ascoltati in aula e quello che è emerso contribuisce a tratteggiare profili criminosi a dir poco atroci.
“Quando ho ucciso mia madre ero convinta al trecento per cento che lei volesse avvelenarci. Ci avrei messo una mano sul fuoco. Ora dopo tanti mesi di carcere, non sono più così sicura”. Questa una parte della deposizione resa in aula da Silvia, la più grande delle sorelle Zani.
Nei casi in cui si verificano delitti di questo tipo, ove la componente criminale assume più personalità, è fisiologico che prima o poi uno dei componenti infranga il patto. Non costituisce dunque eccezione l’atteggiamento tenuto dalle sorelle Zani, Silvia e Paola, e da Mirto Milani. Rispettivamente fidanzato della prima e amante della seconda. Del resto, era stato proprio lui a rompere il silenzio sulla vicenda raccontando al compagno di cella le modalità con le quali Laura Ziliani era stata uccisa. Parole, quelle dell’ex soprano, che erano state intercettate dalle cimici proprio riposte nel penitenziario. Mirto, di conseguenza, aveva confessato tutto ai magistrati quasi un anno fa, il 24 maggio 2022. Alla sua confessione era seguita anche quella delle figlie di Laura Ziliani.
Quel che emerge dal racconto dei tre ragazzi alla sbarra è raggelante. Erano due anni che provavano ad uccidere l’ex vigilessa di Temù. Ma un altro dato che, dal punto di vista personologico, è in grado di rappresentare le caratteristiche malevole del trio criminale, è la versione fornita in ordine al movente. Da tale angolo di visuale, infatti, i tre fanno fronte comune dichiarando di aver ucciso Laura Ziliani perché temevano che a loro volta fosse lei che volesse eliminarli. Addirittura, le due sorelle, Silvia e Paola, hanno descritto in aula anche quelli che – a loro dire – erano stati i tentativi della madre di ucciderle. Come, ad esempio, l’aver mischiato la candeggina al latte. Ricostruzioni grottesche che celano evidentemente la volontà delle due di eludere la completa assunzione di responsabilità rispetto a quanto commesso. Mostrando, in questo senso, non soltanto la totale mancanza di empatia. Ma anche, e forse soprattutto, l’intimo convincimento – mai sopito – che Laura Ziliani avrebbe potuto e dovuto fare la fine che ha fatto.
Nell’omicidio dell’ex vigilessa di Temù, l’elemento del gruppo ha costituito la leva determinante. Una leva capace di indurli a commettere il più aberrante dei crimini. E che, seppur con modalità differenti rispetto al passato, continua a fare presa sui tre. Come risulta evidente dalle prime udienze del processo iniziato a loro carico. Silvia Paola e Mirto hanno agito anzitutto mossi da un sentimento di odio e rancore maturato nei confronti di Laura ormai da troppo tempo.
Un sentimento che sembrerebbe ancora oggi animare le loro coscienze. Dato che, si ribadisce, tutti continuano a individuare il movente nel presunto intento dell’ex vigilessa di Temù di ucciderli. Ma le cose non stanno certamente così. L’ingranaggio della macchina del sangue azionato dai tre ragazzi è infatti ben diverso. Sicuramente azionato da una patologica dinamica riconducibile al vero movente: quello economico. Laura Ziliani era diventata per Silvia e Paola, le due figlie maggiori, un ostacolo da rimuovere. Un ostacolo che si frapponeva alle modalità con le quali avrebbero voluto vivere la loro vita. Le due ragazze, e di conseguenza l’uomo che si spartivano anche sessualmente, ambivano ad impossessarsi del patrimonio della madre. In modo da potersi godere la vita senza lavorare e senza troppi sacrifici. L’obiettivo infatti era quello di gestire gli affitti degli immobili di cui l’ex vigilessa di Temù era proprietaria. Non è un caso, infatti, che – mentre tutti cercavano Laura e la credevano scomparsa – loro prenotavano una vacanza al mare e versavano un acconto per l’acquisto di una nuova automobile. Un acquisto a cui la madre si era opposta con forza.
Quello che è andato in scena a Temù altro non rappresenta che la naturale conseguenza di relazioni patologiche e disfunzionali. Difatti, Silvia, Paola e Mirto non costituivano solamente un gruppo di soggetti uniti dal comune odio e animati da esigenze impellenti di matrice consumistica. Al contrario, i tre erano vincolati anche da un anomalo legame amoroso e sessuale.
Mirto era il fidanzato di Silvia, ma da qualche tempo aveva attenzionato la sorella Paola. Con la quale era nata una relazione secondaria. Del resto, sono stati i tre, ma soprattutto Silvia, a ribadire in aula di quanto questo triangolo fosse non solo tollerato. Ma anche fortemente voluto da tutti i suoi componenti. Una relazione poliamorosa. Così l’hanno qualificata in aula.
Oltre alle dinamiche di natura psicologica connesse al legame evidentemente malato che avvinghiava Silvia Paola e Mirto, quel che è emerso di umanamente incomprensibile è il lungo lasso temporale con il quale i tre hanno premeditato l’omicidio. Silvia ha sottolineato più volte come avesse sottratto le benzodiazepine dalla rsa dove lavorava con l’intento, poi concretizzato, di uccidere sua madre. Considerando poi, sempre per loro stessa ammissione, che si sono ispirati a serie tv come Dexter, i Borgia e Breaking Bad, risulta davvero difficile credere che venga riconosciuta la loro incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti. In tale direzione, il processo subirà un arresto proprio per consentire l’espletamento delle perizie psichiatriche. Richieste dalla difesa e accordate dalla Corte d’Assise. Quasi impossibile, in verità, ipotizzare che in sede clinica, i tre vengano riconosciuti incapaci di intendere e di volere al momento dei fatti.
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