È arrivata nel pomeriggio del 29 gennaio la sentenza del processo d’appello per la morte di Marco Vannini, il 21enne morto il 18 maggio del 2015 a Ladispoli (Roma), dopo un colpo sparato, in circostanze mai del tutto chiarite, da Antonio Ciontoli, il militare padre di Martina, la fidanzata del giovane. Il pg Vincenzo Saveriano aveva chiesto una condanna 14 anni di reclusione per l’intera famiglia di Ciontoli. In primo grado Ciontoli è stato condannato a 14 anni, per omicidio colposo, mentre la moglie e i figli hanno avuto una condanna a tre anni di carcere. In Appello la pena è stata ridotta a 5 anni per Antonio Ciontoli.
Cinque anni di carcere ad Antonio Ciontoli, 3 alla moglie e ai figli. Sono le condanne arrivate in appello per la morte di Marco Vannini, il 21enne deceduto il 18 maggio del 2015, a Ladispoli nei pressi di Roma, dopo un colpo di pistola sparato, in circostanze mai del tutto chiarite da Ciontoli, militare di carriera e padre di Martina, fidanzata della vittima.
In primo grado Ciontoli era stato condannato a 14 anni di carcere per omicidio volontario. NanoPress si era occupata anche di quel processo che aveva visto aspre proteste in aula alla lettura della sentenza da parte della madre della vittima, che anche in appello ha urlato ai presenti la sua indignazione.
“Vergogna, è uno schifo!” Così Marina, la madre di Marco Vannini, Marina, ha reagito subito dopo la sentenza nel processo di appello per la morte del figlio nella quale la pena per il principale imputato, Antonio Ciontoli, è passata dai 14 anni di carcere, in primo grado, ai cinque.
“Chi protegge questi personaggi? Mio figlio è stato lasciato agonizzante e poteva salvarsi se fosse stato soccorso in tempo”. Ha aggiunto la madre di Marco, poco prima di lasciare il tribunale, parlando con i cronisti. “E’ una vergogna – ha detto -. Sono tutti venduti. Io e mio marito strappiamo la tessera elettorale. Non c’è Stato per mio figlio”.
“Strappo la tessera elettorale” ha gridato il padre della vittima uscendo dall’aula mentre una ventina di persone, amici e parenti di Marco, batteva le mani urlando “Vergogna!”. “Non può valere cinque anni la vita di mio figlio. Dove sta la legge? Lui era nel fiore degli anni, aveva tutta la vita davanti”.
Anche durante la lettura del dispositivo i parenti e gli amici della vittima hanno urlato contro i giudici: “Venduti, non c’è Stato per Marco!” Prima di essere allontanati dall’aula della Corte d’Appello.
La notte del 18 maggio 2015, Marco Vannini venne colpito dal proiettile sparato da una pistola in dotazione a Antonio Ciontoli, padre della fidanzata del giovane. Venne portato in ambulanza presso il punto di primo soccorso di Ladispoli oltre un’ora dopo lo sparo, quando le sue condizioni erano già disperate. Il ragazzo morì dopo ore di agonia, portato in ospedale troppo tardi, perché Ciontoli, nel timore di perdere il lavoro, aveva cercato di nascondere quanto accaduto.
Di lì, secondo l’accusa, sarebbe partito un ritardo “consapevole” nei soccorsi. Ai soccorritori i Ciontoli avevano detto una serie di falsità: che il giovane era scivolato, poi che aveva avuto un attacco di panico dopo uno scherzo, e che si era ferito con un pettine.
Ciontoli, militare di carriera, alla fine, pressato dagli accadimenti, ammise che il giovane era stato colpito, per errore, da un proiettile, solo davanti al medico di turno. La ferita che aveva sotto l’ascella destra, a prima vista, non lasciava pensare a un colpo di arma da fuoco, ma il giovane aveva perso oltre due litri di sangue. Il proiettile aveva ferito gravemente il cuore e i polmoni, ma se fosse stato trasportato subito in ospedale, secondo i periti del tribunale, con tutta probabilità si sarebbe salvato.
I giudici della corte di appello che hanno ridotto a 5 anni l’iniziale condanna a 14, evidentemente, hanno creduto che Ciontoli sparò senza la premeditazione e che tutto ciò che è successo dopo, cioè tutta la serie di depistaggi e falsità sul tragico accaduto non era da ravvisare come azione criminosa.
“Per i genitori di Marco il figlio è stato assassinato di nuovo. Si sentono di avere subito un’ingiustizia”, dice l’avvocato Celestino Gnazi, legale della famiglia Vannini, precisando: “Attendiamo le motivazioni che verranno depositate entro 45 giorni. Ci auguriamo che la Procura generale presenti ricorso in Cassazione perché questa vicenda deve arrivare al vaglio della Suprema corte”.
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