OPEC+, il cartello dei Paesi produttori ed esportatori di greggio, aumenta la produzione giornaliera di barili, ma l’incremento è estremamente lieve e sostanzialmente inutile.
Gli stati membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio hanno concordato una maggiorazione di 100 mila barili al giorno nella produzione di idrocarburi, cifra che secondo le stime degli esperti è insufficiente a coprire le richieste dell’Occidente.
L’OPEC è un’organizzazione economica che riunisce al suo interno 14 Paesi leader nel commercio dell’oro nero. Nato nel 1960, il consesso costituisce un tavolo di confronto nel quale gli stati, la cui economia è principalmente legata al mercato del petrolio, stabiliscono dei prezzi che impediscano agli stessi contraenti di cadere in una spirale di concorrenza sul mercato globale che ne riduca i ricavi.
Attualmente comprende 14 nazioni: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Guinea Equatoriale, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Congo e Venezuela. A questi stati se ne sono aggiunti altri 10 nel 2016, che hanno così composto l’OPEC+, un’organizzazione più ampia ed informale, al fine di raggiungere la piena e reale rappresentanza delle nazioni petrolifere globali. I membri aggiuntivi di questo secondo gruppo sono: Azerbaijan, Bahrein, Brunei, Kazakistan, Malesia, Messico, Oman, Russia, Sudan e Sudan del Sud.
Nelle scorse settimane alcuni leader occidentali, tra cui lo stesso presidente a stelle e strisce Joe Biden, avevano esplicitamente chiesto un gesto di sostegno agli associati dell’OPEC+ per aumentare la produzione di greggio.
La richiesta era volta a saziare le economie occidentali impegnate a fare a meno degli ingenti quantitativi di idrocarburi russi nonché ad abbassare il prezzo del materiale energetico (anch’esso inflazionato dalle manovre commerciali di Putin), in quanto se si espande la presenza di un bene sul mercato il suo prezzo conseguentemente si riduce.
Senza dimenticare l’inflazione che un prezzo dell’energia troppo alto produce a cascata su tutta la filiera produttiva andando ad impattare principalmente sul costo della vita del singolo consumatore.
La riunione dell’OPEC+ ha appena deciso di aumentare di 100 mila barili al giorno la sua produzione: un intervento inferiore ad attese ed esigenze occidentali. Secondo alcune stime del Financial Times questo valore aggiuntivo basterebbe a coprire circa lo 0.1% dell’attuale domanda di idrocarburi nel mondo.
Sulle motivazioni di un incremento così esiguo che assume quasi i contorni della beffa, gli esperti enucleano varie possibilità. Alcuni, riportando il caso saudita, presentano la scelta come effetto di un’impossibilità tecnica a produrre in tempi brevi volumi maggiori.
Molti altri invece vi leggono una decisone presa a vantaggio delle economie degli stessi membri dell’OPEC+ (tra i quali, va ricordato, figura anche la stessa Russia). Questi avrebbero scelto di attendere la fine dell’anno per innalzare sensibilmente le quantità esportate in quanto è prevista in quella stessa fase un incremento ancora più forte delle quantità richieste, cosa che determinerebbe un maggior potere contrattuale per gli stati OPEC+ e quindi guadagni potenziali più alti.
In definitiva la grande legge della concorrenza capitalistica mostra il suo vero volto di indifferenza e prepotenza proprio nei momenti di crisi, quando si palesa come un sistema produttivo fondato sulla prevaricazione reciproca per il guadagno economico non lasci poi spazio per condivisione e azioni sinergiche verso un futuro di pace.
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