Durante gli incontri a margine del World Economic Forum di Davos (Svizzera), il convegno annuale tra i rappresentanti dei grandi gruppi produttivi ed industriali mondiali, il presidente della Repubblica Serba, Aleksandar Vucic, ha avuto un colloquio con il neo-premier del Montenegro Dritan Abazovic.
Al termine dello stesso bilaterale, il massimo esponetene della repubblica di Belgrado ha espresso l’auspicio che il primo ministro montenegrino possa presentare favorevolmente, al suo rientro in patria, l’adesione dello stato di cui è rappresentante al progetto “Open Balkan”.
Questa formula sottintende l’accordo raggiunto nell’estate del 2021 tra i paesi balcanici di Serbia, Albania e Macedonia del Nord.
L’iniziativa mira a costituire tra gli stati della regione sud-orientale europea una zona di libera circolazione di merci e capitali, un meccanismo per il mutuo sostegno in caso di eventi catastrofici, un’azione legislativa volta all’integrazione progressiva dei vari mercati del lavoro, oltre alla omologazione di altri enti pubblici o parastatali (ad esempio i servizi postali).
Denominata la “piccola Schengen”, in riferimento all’accordo di libero scambio di persone, merci e capitali in vigore tra i paesi dell’Unione Europea fin dal 1990, questo piano mira ad integrare le nazioni nate dallo scioglimento della Jugoslavia.
Proprio il comune passato ha spinto la stessa UE a osservare con favore l’iniziativa, vista l’instabilità e la storia di martirii che hanno disseminato l’evoluzione di questi territori.
In questi tempi di guerra in Ucraina si fa spesso riferimento alla fine della lunga pace europea: quel periodo durante la guerra fredda in cui la contrapposizione tra il blocco statunitense-occidentale e sovietico-orientale impediva espressioni belliche troppo violente, che avrebbero potuto significare una veloce discesa verso il baratro nucleare. Tuttavia, e questo rimosso dovrebbe essere analizzato nelle sue motivazioni, nel corso degli anni ’90, con ulteriori strascichi nei primi 2000, l’Europa è stata attraversata da sanguinosi scontri di natura etnica e religiosa che hanno coinvolto proprio gli ex paesi della Repubblica Socialista retta dal maresciallo Tito.
Di conseguenza il progetto di cooperazione regionale portato avanti dai premier di Serbia, Albania e Macedonia del Nord non può che essere visto positivamente da Bruxelles, nella speranza che tale collaborazione faciliti il raggiungimento, per questi Stati, di quegli standard richiesti dalla Commissione per l’adesione effettiva all’Unione Europea.
Oltre al Montenegro, i tre stati firmatari del patto del 2021 vorrebbero infatti allargare l’invito anche ai vicini Kosovo e Bosnia-Erzegovina.
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