Una lettera, il ben servito. Finisce così dopo 30 anni di onorato servizio presso un’azienda che produce taniche e altri contenitori a Melzo, in provincia di Milano, il percorso professionale di un operaio 61enne marocchino che per anni, per un’intera vita lavorativa, ha servito la stessa azienda. “La nostra società ha installato una macchina, denominata ‘Paint cap applicator’, che svolge in automatico il medesimo lavoro sino a oggi da lei svolto. Viene così soppressa la Sua posizione lavorativa“.
Non è il primo ne sarà l’ultimo caso. La macchina sostituisce l’uomo e l’uomo diventa di troppo, una spesa da eliminare. E quando se anche disabile perché hai perso un mano diventa ancora più dura da digerire perché ricollocarsi a quell’età e con un handicap così importante è quasi utopia. Certo. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con esonero dal preavviso prevede che la ditta riconosca all’uomo l’indennità di legge. La cosiddetta “buona uscita”, o “incentivo all’esonero”.
Ma l’uomo non ci sta: “Mi manca poco alla pensione, appena quattro anni. Lavorare lì per me era la vita. Che almeno mi pagassero i contributi”. Un tentativo di conciliazione, mediato dai sindacati, sarebbe fallito. Mirko Mazzali, avvocato penalista a cui l’uomo si è rivolto, commenta: “Non si può licenziare una persona che ha lavorato trent’anni in un posto, prossima alla pensione, perché una macchina ha preso il suo posto. Tanto più se si tratta di una persona con una disabilità tale da rendere difficoltosa la ricerca di un nuovo impiego“.