Era la notte del 14 febbraio del 2013 quando Oscar Pistorius, atleta paralimpico con entrambe le gambe amputate ricordato sempre per essere stato il primo a gareggiare alle Olimpiadi di Londra nel 2012, sparò contro la porta del bagno della sua casa in Sud Africa. Dietro c’era Reeva, la sua fidanzata, che al quarto colpo morì. Oggi sono passati esattamente dieci anni da quella tragica notte: ecco come stanno le cose.
Ha sempre detto di essere convinto che dietro quella porta ci fosse un ladro Oscar Pistorius. Ha sempre sostenuto di essere innocente, di aver premuto quel grilletto solo ed esclusivamente per difendersi, di essere sempre stato convinto che Reeva, la sua fidanzata, fosse nel letto accanto a lui. Eppure quattro colpi di pistola sono decisamente troppi per una legittima difesa, lo ha detto sempre l’opinione pubblica, lo ha confermato poi la corte d’appello. Sono passati esattamente dieci anni da quel San Valentino che da rosso passione è diventato rosso sangue. Nel mezzo di cose ne sono accadute eccome, sì.
14 febbraio 2013, è la notte di San Valentino. Oscar Pistorius si trova nella sua casa in Sud Africa. In quei mesi viaggia sulla cresta dell’onda: solo sei mesi prima – durante le Olimpiadi di Londra del 2012 – era stato il primo atleta amputato a gareggiare ai Giochi olimpici nell’atletica leggera. Ad agosto aveva superato la batteria dei 400 m piani, correndo in 45″44, per poi arrivare ottavo alla semifinale, con 46″44 (ed essere eliminato). Ma poco importava del risultato, perché Kirani James, campione mondiale, gli aveva chiesto di scambiare con lui il pettorale con i rispettivi cognomi e perché quello che contava davvero era il viaggio che lo aveva condotto fino a lì.
Era nato con una grave malformazione Oscar, entrambi i peroni erano assenti e i suoi piedi era malformati e così a soli 11 mesi si era “visto” amputare entrambe le gambe. Questo non gli aveva permesso però di fermarsi, anzi, Pistorius aveva sempre voluto camminare e camminare, passando dal rugby alla pallanuoto, fino a decidere di iniziare a correre. E allora che atletica leggera sia.
Arriviamo al 14 febbraio del 2013, la notte di San Valentino. Oscar Pistorius si trova nella sua casa in Sud Africa, dicevamo. Accanto a lui, nel suo letto, c’è Reeva Steenkamp, una modella ventinovenne. Stavano insieme da pochi mesi, eppure il loro pareva essere un rapporto già consolidato. Ma, come tutte le storie d’amore, presentava anche dei buchi neri: Pistorius, a quanto pare – almeno stando al racconto dei genitori di Reeva – era gelosissimo, possessivo, instabile. Quella notte, quella di San Valentino, la 29enne lo avrebbe voluto lasciare. Ad un tratto, però, a impedirle di farlo sono dei colpi di pistola. 1, 2, 3, 4 e poi il buio totale: è Oscar a sparare contro la porta del bagno. Dall’altra parte c’è proprio Reeva, la sua fidanzata, che dal momento però non lo sarà mai più.
“Mi sono svegliato nel cuore della notte e pensavo che un ladro si fosse chiuso in bagno”, questo dichiarerà l’atleta, ma qualcosa non torna. Già neanche cinque anni prima – il 13 settembre del 2008 precisamente – Oscar Pistorius era stato arrestato. L’accusa era aggressione. La vittima era una ragazza. Vi dice qualcosa questa scena? Sia chiaro, non c’è nesso tra questi due episodi, ma per molti potrebbe essere questo un indizio sulla sua natura violenta.
Il processo sarà lungo, doloroso – soprattutto per la famiglia di Reeva, che dovrà continuamente rivivere la sua perdita – ma porterà solo a un risultato: Pistorius è colpevole. Punto.
Già il 22 febbraio 2013, solo otto giorni dopo l’omicidio, a Oscar Pistorius viene concessa la libertà su cauzione. Poco più di un mese dopo, il 28 marzo esattamente, l’Alta Corte del Tribunale di Pretoria gli concederà anche la possibilità di viaggiare all’estero. Il processo a suo carico inizierà solo il 3 marzo del 2014 e avrà luogo a Pretoria. Solo il 12 settembre di quell’anno sarà accusato di omicidio colposo grave, il 21 ottobre condannato a cinque anni più tre per possesso illegale di armi da fuoco, ma il 20 ottobre del 2015, solo un anno dopo essere entrato in prigione, uscirà per tornare a casa ai domiciliari.
Nel mezzo, nel novembre del 2014, una scossa al suo processo: la procura sudafricana decide di ricorrere in appello contro la sentenza e chiede che Pistorius possa essere condannato per omicidio volontario senza aggravanti, che significa almeno 15 anni di reclusione. Gli avvocati dell’atleta cercano di impugnare il ricorso, ma il giudice Thokozile Masipa, rigetta la sua richiesta nel marzo del 2015. Arriviamo a al 3 dicembre del 2015: la Corte Suprema d’Appello Sudafricana accoglie il ricorso della Procura e riconosce Pistorius colpevole di omicidio volontario.
Solo nel novembre del 2017 la Corte Suprema d’Appello del Sudafrica aumenterà la sua pena a 13 anni e sei mesi. Ma come stanno le cose oggi?
Oggi Oscar Pistorius sta scontando la sua pena nel carcere di Atteridgeville, ma sappiamo che quest’anno potrebbe accedere alla libertà condizionale. La legge sudafricana, infatti, parla chiaro: chi ha già scontato in prigione metà della sua pena, può scontare l’altra metà in libertà vigilata, ma necessita di un “pass”, cioè dell’approvazione di un comitato, di uno psicologo e di un assistente sociale. A brevissimo – tra febbraio e marzo esattamente – quindi potrebbe cambiare tutto. Ma non sembrano esserci le condizioni perché questo accada attualmente.
A conti fatti ad oggi le sue possibilità di tornare a una “semi-libertà” sono molto poche, perché nessuno pare essere clemente nei suoi confronti oggi. La condizione essenziale era che Oscar incontrasse i genitori di Reeva e lo ha fatto. Era giugno del 2022, la madre si è rifiutata di vederlo, il padre invece ha deciso di accettare di prendere parte a questo incontro (ufficializzato dall’avvocatessa della famiglia, Lawyer Tania Koen). “C’è molta politica dietro a queste decisioni. E una forte opposizione dei gruppi femministi”, sostiene Peter Van Zyl, il suo manager (lo ha affermato chiaramente in un’intervista rilasciata non molto tempo fa a Repubblica). Oppure forse semplicemente una donna che si è vista strappare sua figlia di soli 29 anni così, in una notte di follia, non vuole guardare in faccia il suo assassino.
Ma la vita di Oscar non è tutta chiusa nelle mura di quel quadrato nel penitenziario di Kgosi Mampuro, anzi, diciamo che più che altro è la sua mente che viaggia e vola al di là di quella sbarre. Va avanti tra lavoro – pulisce già da un po’ i bagni della struttura – e sogni: sì, perché l’atleta non ha smesso di fare progetti, di produrre, anche se ad oggi sono in modo “astratto”. Sta studiando business administration, vorrebbe lavorare nel settore immobiliare. E no, non vuole tornare a correre.
Nella succitata intervista rilasciata a Repubblica, il manager di Pistorius, Van Zyl, ha affermato: “Fuma, una sigaretta dopo l’altra, nevroticamente. Prima non aveva questa abitudine. Con me commenta le notizie sull’atletica, è ancora molto appassionato del suo sport”. Ma sia chiaro: Oscar “non tornerà più a correre. Ha 36 anni, la sua carriera è finita. Si rende conto che ha sbagliato e distrutto molte vite, anche la sua. Tutto finito”.
Tutto finito per Oscar Pistorius insomma. Quelle luci della ribalta hanno lasciato il posto a quelle fioche della sua cella. Ma va benissimo così: del resto, come si suol dire, chi sbaglia paga.
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