Pagò per partorire con epidurale: il giudice condanna l’Asl al rimborso

Il giudice di pace di Lecce, Luigi Piro, ha riconosciuto il diritto alla restituzione da parte dell’Asl Lecce delle somme spese per il pagamento del trattamento del parto indolore, cioé epidurale, a una giovane mamma che dopo aver diffidato inutilmente l’ente si è vista accogliere la domanda di rimborso. I fatti: Nicoletta D’Agata aveva partorito il 6 novembre 2011 presso il reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Vito Fazzi di Lecce e aveva richiesto di sottoporsi all’epidurale. All’epoca dei fatti l’Asl Lecce aveva comunicato che la procedura era possibile soltanto in intra-moeinia, cioé pagando gli anestesisti come se svolgessero attività libero-professionale. I costi erano naturalmente a carico della donna, che decise di sottoporsi comunque alla terapia pagando 800 euro.

A questo punto – spiega a La Presse Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei diritti e padre della partoriente – abbiamo deciso di diffidare l’Asl visto che il ministro della Salute dichiarava, invece, che la terapia in questione era assolutamente gratuita poiché entrata ufficialmente nell’elenco delle nuove voci inserite nei cosiddetti Lea (livelli essenziali di assistenza) e perciò garantita senza costi per le pazienti in tutti gli ospedali a partire dal 2013“. Così la giovane mamma, assistita dall’avvocato Luca Monticchio, si è rivolta al giudice di pace di Lecce per vedersi restituito ciò che indebitamente era stato percepito dall’ente che, al contrario, sosteneva la correttezza del suo operato.

Il magistrato onorario, ripercorrendo le tempistiche e rilevando correttamente i regolamenti vigenti all’epoca del parto e della sottoposizione alla terapia antalgica, ha ritenuto sussistente il diritto al rimborso di tutte le spese sostenute dalla giovane ed ha quindi condannato l’Asl alla restituzione di 801,81 euro oltre interessi e alle spese processuali. “Siamo molto contenti – ha concluso D’Agata – da tempo la nostra associazione ha avviato una battaglia perché sia garantita a tutte le donne questo tipo di prestazione sanitaria senza spese, per una questione di equità. Questa sentenza segna un precedente importante“.


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