Intervenendo alla celebrazione per i trent’anni della Direzione Investigativa Antimafia, Papa Francesco esprime tutto il suo aborrimento per la mafia ed il suo sistema di prevaricazioni.
Il pontefice, nel presenziare alla cerimonia organizzata dalla Pontificia Accademia Mariana Internazionale, rigetta quello che definisce il “colonialismo culturale mafioso”, ovvero l’insinuarsi del pensiero fraudolento e vile della mafia nella testa dei più deboli ed emarginati.
Bergoglio ha più volte dimostrato durante il suo pontificato di non temere i giudizi taglienti o l’intervento diretto in questioni non strettamente ecclesiali.
Anche il fenomeno mafioso sta a cuore al Papa argentino, che sfrutta il trentennale di nascita del corpo Investigativo Antimafia per sferzare la criminalità organizzata, ancora purtroppo così ben radicata e ramificata sulla Penisola.
Colpisce immediatamente l’espressione coniata dal rappresentante di Pietro sulla Terra: “colonialismo culturale mafioso”. Per Francesco I primariamente la mafia è un problema culturale, non solo o tanto giudiziario ed economico.
La visione mafiosa attecchisce e si nutre di paura, di quel terrore che invade gli ultimi, i più deboli, coloro che senza il supporto della propria comunità, locale o nazionale, abbandonano il proprio spirito alla rassegnazione ed al cinismo.
È in questo contesto che la mafia si insinua, è qui che colonizza il disagio per tramutarlo in disprezzo, che tramuta quel desiderio di accettazione sociale in ripulsa ed in fuga in modelli antisociali. Nutre la rassegnazione del reietto con l’odio della vendetta e del sopruso contro coloro, persone o istituzioni, che lo hanno abbandonato dopo averlo illuso.
In questo contesto si profila, quasi salvifica, la vergogna: la quale però non scaturisce dal biasimo esterno, ma deve emergere dall’interno, quale anticorpo all’espandersi viscerale del contagio della cultura mafiosa sul più bisognoso. Solo il ridimensionamento umano dato da questo sentimento può portare a parlarsi e a comprendersi per eradicare in profondità le ragioni che rendono la mafia una pianta sempreverde.
In tal senso Papa Francesco indica anche una possibile via d’uscita: la comunità fraterna. È difatti solo ostracizzando dalle città e dai contesti di vita la povertà e l’emarginazione che la criminalità organizzata perderà l’humus per proliferare.
Amicizia e convivenza possono essere per il pontefice quelle case dove le generazioni si confrontano e collaborano per il bene di tutti. Delle abitazioni resistenti, perché fondate su ciascun membro della comunità, che possano così schiacciare e soffocare i rami e le radici della pianta mafiosa.
Comunità compartecipate e conviviali sono frutto di contesti sicuri e legali per il vicario di Cristo, da cui l’importanza data al gruppo antimafia, segnalata dalla stessa presenza del pontefice all’anniversario.
Tuttavia se la Direzione Investigativa è fondamentale per limitare e frenare il problema, la risoluzione dello stesso non può che passare attraverso la formazione, la conoscenza e la ricerca. In quanto fenomeno prettamente culturale che si insinua nella mente colma di paura per il proprio futuro dell’emarginato, la mafia genera un popolo di schiavi che percepiscono la propria sorte come un destino ineluttabile. Contro tale ottenebramento, la vittoria si ha rischiarando l’angoscia con l’amore conviviale.
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