Pedofilia nella Chiesa, le parole choc di don Gino Flaim: «Posso capire i pedofili»

Non si placano le polemiche per le parole di Don Gino Flaim su pedofilia e omosessualità. “La pedofilia posso capirla, l’omosessualità non so”, aveva dichiarato meno di 24 fa il collaboratore pastorale della Chiesa di San Giuseppe e Pio X a Trento. Dichiarazioni rilasciate in un’intervista mandata in onda su “L’aria che tira” su La7 e che hanno sconvolto tutti, a partire dalla Curia che gli ha revocato gli incarichi. Mentre sul web impazzano le polemiche e su Twitter l’hastag #donGinoFlaim è diventato virale, il parroco prova a difendersi e a spiegare le sue dichiarazioni: non giustifica la pedofilia, dice a Repubblica, è d’accordo con la politica di Papa Francesco, ma allo stesso tempo conferma le sue parole.

Per il parroco dunque, la pedofilia è un peccato e non un reato. “La pedofilia posso capirla, l’omosessualità non lo so”, ha detto ai microfoni della trasmissione di La7. L’omosessualità, per don Gino, è una “malattia”, mentre le molestie sessuali a danno di minori, compiute da preti (quindi da persone di cui le vittime e le famiglie si fidano), hanno delle motivazioni. “Sono stato tanto a scuola e i bambini li conosco. Purtroppo ci sono bambini che cercano affetto, perché non ce l’hanno in casa. E magari se trovano qualche prete, può anche cedere insomma. E lo capisco questo”. Alla domanda della giornalista se la colpa è da imputare alle vittime che “provocano” gli adulti, arriva la risposta choc: “Buona parte sì”.

La Curia di Trento gli ha revocato nel giro di poco tempo gli incarichi; già alle 17, racconta a Repubblica lo stesso don Gino, non gli hanno fatto dire messa. A distanza di 24 ore dalle sue affermazioni, non si è ancora reso conto delle polemiche e della rabbia che hanno provocato le sue parole. “Ma cosa ho detto di così grave?”, si chiede, confermando quanto detto il giorno prima. “Ho detto che li capisco, non che li giustifico”, chiarisce. Don Gino insiste nella sua teoria: i bambini cercano affetto perché non lo trovano in famiglia e qualcuno può cadere in tentazione, preti ed educatori che siano.

Come possa essere d’accordo con le parole di Papa Francesco, il primo che ha guardato in faccia l’orrore della pedofilia nella Chiesa, è difficile da credere. Tra le rivoluzioni attuate da Papa Bergoglio c’è anche la ferma condanna per i preti pedofili: il Santo Padre, a differenza del suo predecessore, li ha consegnati alla giustizia e li ha allontanati dalla Chiesa perché violentare dei minori è prima un reato e poi, per i credenti, un peccato.

Spostare il piano sul livello religioso è folle ed è sbagliato: la violenza sessuale è un reato punito e perseguito in tutto il mondo, Italia compresa. Chi lo commette, prete o meno, deve comparire davanti alla giustizia e rispondere del reato: alla vittima va garantita giustizia, supporto e aiuto.

Già questo è difficile; se poi si cancella il reato lasciando solo il peccato, si dà un’ulteriore giustificazione ai pedofili. Ho fatto peccato? Mi pento, mi assolvono e sono a posto. Invece no: la pedofilia è un reato, uno dei più abbietti e, come tale, va classificato. Che poi si debbano aiutare anche i pedofili, con percorsi rieducativi e altro, è un dovere di ogni stato di diritto, come dovrebbe esserlo anche della Chiesa. I primi però a essere aiutati devono essere le vittime, riconoscendole come tali e non come “provocatori”.


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