«Marescià e mi dovevo far sparare per sapere se la pistola era vera o falsa?» Rispose così un ristoratore, napoletano a Milano, al Carabiniere che, intervenuto in seguito a una rapina “a mano armata”, chiedeva all’ignaro gestore del locale se la pistola che il delinquente impugnava fosse vera o finta. E tutto sommato non aveva tutti i torti: che ne poteva mai sapere lui, che per mestiere maneggiava (e anche molto bene) pizze e supplì, di pistole? Certo forse avrebbe potuto notare il materiale, la pesantezza o un qualche particolare che avrebbe potuto identificare quell’arma fasulla, un giocattolo! Ma siamo consapevoli di quale possa essere lo stato di agitazione e paura che si trova ad affrontare la vittima di una rapina o chi, svegliandosi nel cuore della notte, trova un ladro in casa propria?
È difficile, forse perfino impossibile, mantenere la calma e soprattutto la lucidità necessaria per analizzare il reale livello di rischio e quindi calibrare la legittima difesa in base a questo. L’eccesso di legittima difesa è pertanto un reato che deve necessariamente tenere conto di quale fosse lo stato emotivo del reo. Questa, però, è una attenuante e servirà a valutare la pena, non se il fatto è avvenuto o meno. Servirà dunque durante il processo, non certo durante l’indagine che, invece, è volta ad appurare come sono avvenuti i fatti: la verità.
Che un uomo sia stato ucciso da un altro uomo in un determinato luogo e in un determinato momento è, infatti, un fatto, una certezza. E io, da cittadino, voglio che lo Stato appuri, con precisione, come sono andati i fatti. Lo voglio perché quello che è morto, per quanto fosse un ladro, era anch’egli uomo che questo Stato deve tutelare, almeno ricostruendo con esattezza il modo in cui è morto. Lo voglio perché potrebbe succedere anche a me di morire in circostanze poco chiare e, benché di professione non faccia il ladro, in cui sembri che “me la sono cercata”.
Appurata la verità, ricostruiti con certezza e senza pregiudizi, dovuti al fatto che la vittima fosse un delinquente (e pure immigrato, direbbe qualcuno!), i fatti per come sono accaduti e non per come li ha raccontati l’unico dei due che può raccontarli, allora si aprirà il dibattimento processuale e lì saranno tenute in considerazioni tutte le attenuanti del caso.
Prima, però, è necessario sapere cosa la Giustizia dovrà giudicare: per questo l’iscrizione del pensionato della provincia di Milano che ha ucciso un ladro scoperto in casa sua non è solo un atto dovuto, ma è anche un atto giusto. Un atto che io, da cittadino italiano, pretendo che il mio Stato, quello a cui pago le tasse, faccia, se non altro perché è necessario per appurare i fatti. Poi sarà il processo a stabilire il perché di quei fatti.
Da cittadino mi interesserebbe anche sapere come mai un ex commerciante, oramai in pensione, dorme con una pistola sul comodino, perché – che questo sia omicidio volontario o eccesso di legittima difesa – di sicuro se non ci fosse stata quell’arma sarebbe stato meglio! Se è vero che il ladro sarebbe potuto essere armato e quindi avrebbe potuto colpire il pensionato, è anche vero che in questo caso – come in molti altri – non lo era e il mettere in circolazione sempre più armi aumenta i rischi, più che ridurli.
A prescindere, infatti, dal fatto che, qualora il ladro fosse stato armato, quell’arma se la sarebbe procurata in modo illegale e non sarebbe stato lo Stato a dargli il permesso di sparare, se entrambi fossero stati disarmati oggi non ci sarebbe nessun morto; se entrambi fossero stati armati il rischio che ci fosse un morto, se non due, era lo stesso identico di se fosse stato armato soltanto uno dei due. E il compito di uno Stato non è quello di fare in modo che sia il “buono” a uccidere il “cattivo”, quanto quello di ridurre al minimo il rischio che sia il buono che il cattivo muoiano.