Se ne parla da diverso tempo delle pensioni dei nati dopo il 1980, che sono destinate a slittare in avanti allarmando tutta una platea di lavoratori che verosimilmente andranno in pensione a 73 anni e oltre. Il presidente INPS Tito Boeri, prima ancora di illustrare questi temi, oltre un anno fa, aveva edotto gli italiani, dati alla mano, con una simulazione dell’ente previdenziale che indicava proprio i numeri che ancora oggi campeggiano sui giornali italiani. Insomma ancora non siamo riusciti a scongiurare il pericolo previdenziale per la generazione nata nel 1980, un pericolo che fa rima con ‘andare in pensione a 75 anni’.
La riforma delle pensioni prosegue ma chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 continua a sentirsi abbandonato. Il problema fondamentale è uno: quasi il 60% dei lavoratori assunti ha 40-45 anni di età, e dal 1996 sottosta al sistema contributivo. Questo stato di cose, ha spiegato Stefano Patriarca, consigliere economico della presidenza del Consiglio prevede alcune soluzioni forzate. Ossia:
PENSIONE DI VECCHIAIA
Chi sta completamente nel regime pensionistico contributivo può maturare i requisiti per richiedere la pensione di vecchiaia. Servono 20 anni di contributi previdenziali pagati, età minima di 69 anni e 5 mesi (considerando gli adeguamenti automatici alla speranza di vita), e aver maturato una pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale (oggi 640 euro netti).
PENSIONE A 73 ANNI
I lavoratori classe 1980 che hanno avuto carriere discontinue e non hanno maturato i requisiti ordinari per poter andare in pensione di vecchiaia potranno andare in pensione a 73 anni, anzi a 73 anni e 5 mesi. La seconda via di pensionamento è dedicata appunto a coloro che non riescono a raggiungere questo minimo, spesso perché hanno subito molta disoccupazione e salari bassi.
PENSIONE ANTICIPATA
Un’altra soluzione che solo alcuni lavoratori possono scegliere è la pensione anticipata: si può lasciare il lavoro 3 anni prima dell’età di vecchiaia – in questo caso a 66 anni e 5 mesi – se si hanno almeno 20 anni di contributi e l’importo maturato non è inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale (oggi 1.050 euro netti).
UNA PENSIONE PER I LAVORATORI DISCONTINUI
Dal quadro di questi dati possiamo dedurre che, paradossalmente, i lavoratori che hanno svolto lavori più stabili e ben pagati possono contare anche su una pensione più adeguata e alta, nei tempi stabiliti, mentre chi avrebbe bisogno di una maggiore tutela perché penalizzato per via di lavori discontinui o mal pagati, si trova a essere ‘ostaggio’ del mondo del lavoro o costretto ad andare in pensione anticipata perdendo una quota del premio.
Senza stare troppo a pensare, la soluzione potrebbe essere semplicemente favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato, coperti da un adeguato salario. Ma il governo sta discutendo in concreto con i sindacati per capire come rendere la Riforma Fornero più equa, anche senza scardinarla.
PENSIONI: ALTERNATIVE ALLO STUDIO
Governo e sindacati proseguono nel confronto per trovare una soluzione adeguata alla riforma delle pensioni. Si va dalla pensione minima di garanzia di 650 euro, con integrazioni a carico dei contribuenti, ai contributi figurativi pagati dallo Stato, che andrebbero a coprire i periodi di disoccupazione. Si studia anche l’eliminazione delle soglie per accedere alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata, ma allo studio degli esperti c’è anche l’istituzione di un sistema di redditi ponte che traghetti verso la pensione quei lavoratori più deboli economicamente.
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