Il sistema delle pensioni INPS poggia anche sul lavoro dei migranti. Chiudere le frontiere all’immigrazione, quindi, rappresenta un errore dato che la conseguenza potrebbe essere lo sgretolarsi dell’apparato di previdenza e protezione sociale italiano. A lanciare l’allarme sulle pensioni future è il presidente Inps Tito Boeri che, dati alla mano, ha presentato la sua relazione annuale a Montecitorio, e ha evidenziato come, in pratica, impiegare gli immigrati in lavori che – spesso – gli italiani non vogliono fare più è un’esigenza economica: “Chiudere loro le porte – dice Boeri – ci costerebbe la perdita di 38 miliardi di euro per i prossimi 22 anni”, l’equivalente di una manovrina aggiuntiva.
“Non abbiamo bisogno di chiudere le frontiere. Al contrario, è proprio chiudendo le frontiere che rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale. Siamo consapevoli del fatto che l’integrazione degli immigrati che arrivano da noi è un processo che richiede del tempo e comporta dei costi”, ha spiegato Boeri.
IMMIGRATI NECESSARI PER IL SISTEMA DELLE PENSIONI
“E’ anche vero che ci sono delle differenze socio-culturali che devono essere affrontate e gestite e che l’immigrazione, quando mal gestita, può portare a competizione con persone a basso reddito nell’accesso a servizi sociali, piuttosto che nel mercato del lavoro – aggiunge – Ma una classe dirigente all’altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno di un numero crescente di immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale”.
PENSIONI A RISCHIO: -38 MILIARDI IN 22 ANNI
Per dare l’idea di quanto ci costerebbe la chiusura delle nostre frontiere ai cittadini extra-comunitari, si è effettuata una simulazione dell’evoluzione “da qui al 2040, della spesa sociale e delle entrate contributive nel caso in cui, da qui, in poi i flussi in entrata di contribuenti extra-comunitari dovessero azzerarsi. Nei prossimi 22 anni – spiega il presidente dell’Inps – avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi, insomma una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo”.
[npleggi id=”https://www.nanopress.it/economia/2016/10/11/immigrati-motore-del-pil-italiano-valgono-127-miliardi-quasi-come-la-fiat/149565/” testo=”IMMIGRATI, MOTORE DEL PIL ITALIANO”]
“Nel triennio precedente alla crisi – evidenzia Boeri – circa 150.000 lavoratori immigrati cominciavano a versare contributi per le pensioni ogni anno mentre il 5% dello stock di lavoratori immigrati (circa 100.000 persone) uscivano dal nostro mercato del lavoro. Nella nostra simulazione la popolazione dei contribuenti immigrati si riduce mediamente ogni anno di circa 80.000 persone nei prossimi 22 anni”.
“Abbiamo ipotizzato una retribuzione annua di ingresso di 2.700 euro, molto inferiore a quella dei lavoratori italiani (i migranti economici fanno i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere), poi crescente no a un massimo di 9.500 euro al termine della carriera. Abbiamo guardato tanto al gettito contributivo che alle spese associate a prestazioni destinate agli immigrati (pensioni, prestazioni a sostegno del reddito, assegni al nucleo famigliare, pensioni di invalidità civile)”.
GIOVANI MIGRANTI PAGANO LE PENSIONI AGLI ITALIANI
I migranti che si fermano a lavorare in Italia aiutano a versare i contributi per le pensioni dei nostri lavoratori, e sono preziosi economicamente. Chiudendo le frontiere agli immigrati “rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale”, ribadisce Boeri.
Questo perché “i lavoratori che arrivano in Italia sono sempre più giovani, la quota degli under 25 è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015, e pertanto si tratta di 150.000 contribuenti in più l’anno, che bilanciano in parte il calo delle nascite” nel nostro Paese. Una prospettiva, che, chiarisce ancora Boeri, è “La minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico, che è attrezzato per reggere ad un aumento della longevità, ma che sarebbe messo in seria difficoltà da ulteriori riduzioni delle coorti in ingresso nei registri dei contribuenti rispetto agli scenari demografici di lungo periodo”.
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