Il 4 marzo, le urne hanno decretato due vincitori: la Lega di Matteo Salvini ed il M5S di Luigi Di Maio. Al centro dei loro programmi elettorali c’era l’abolizione-superamento della famigerata riforma Fornero con la reintroduzione della cosiddetta quota 100 o quota 41.
Quota 100 e quota 41
Nel primo caso si potrebbe andare in pensione di vecchiaia se età più anni di contributi arrivano alla fatidica quota 100. E quindi 62 anni di età più 38 anni di contributi versati, oppure 64 e 36, 65 e 35, 66 e 34, e così via. La quota 41, invece indicherebbe la possibilità di andare in pensione anticipata con 41 anni di contributi versati – in questo caso l’età raggiunta non conterebbe. Secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri, queste misurebbe costerebbero “circa 90 miliardi in termini di debito pensionistico aggiuntivo”.
La prossima manovra finanziaria
Tanti soldi, a cui bisogna aggiungere le cifre che bisognerà trovare con la prossima manovra: i 12,4 miliardi di euro per sterilizzare l’aumento automatico dell’Iva – dal 22 al 24,2% – dal 1 gennaio, – per le cosiddette clausole di salvaguardia -, 12 miliardi per il rispetto degli obiettivi di riduzione del deficit scritti nei documenti di finanza pubblica, 2 miliardi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego ed altri 5 per spese che non si possono differire come le missioni internazionali i finanziamenti agli enti pubblici. Già così si supererebbero i 30 miliardi di euro, a cui probabilmente ci sarebbero da aggiungere altri 3,5 miliardi di euro della manovra primaverile per aggiustare qualche piccolo sforamento di bilancio rispetto agli obiettivi dell’ultima legge finanziaria.
Il rapporto della Commissione europea
A complicare il quadro sta arrivando il rapporto di primavera della Commissione europea dal titolo “Ageing Report 2018”. Secondo questo documento, l’Italia avrebbe un picco della spesa pensionistica nel 2040: la stima è che sarà pari al 18,5% del Pil. Secondo i calcoli italiani sarebbe al 16,3% del Pil, un valore comunque superiore al record storico del 2015, quando la spesa pensionistica arrivò a contare il 15,7% del Pil.
Ovviamente si tratta di stime, che prendono in considerazione la riduzione dell’immigrazione – viste le posizioni di Lega e M5S -, e quindi dei lavoratori attivi, e il fatto che provvedimenti come l’Ape Social e l’Ape volontaria, così come le salvaguardie degli esodati abbiano permesso a diverse tipologie di lavoratori di ottenere la pensione – con un aumento di costi per il nostro paese.
Queste incertezze sulle stime non può nascondere il fatto che noi quarantenni corriamo un rischio: con il superamento della legge Fornero potrebbe aumentare sensibilmente la spesa pensionistica, e nel giro di qualche anno, per riequilibrare questo errore, ci potrebbe essere un nuovo giro di vite, peggiore di quello attuato con la riforma Fornero.