Il 9 maggio 1978 una striscia di sangue collegò Roma e Cinisi: Aldo Moro e Peppino Impastato venivano uccisi nello stesso giorno, a opera di due mali assoluti della nostra storia recente, il terrorismo e la criminalità organizzata. Diversi per formazione, storia, cultura, i due uomini furono vittime di una lotta serrata contro lo Stato e la legalità. Da una parte il presidente della DC, grande statista, uomo di levatura politica come pochi altri nella storia del nostro Paese: dall’altra il giornalista e conduttore radiofonico che non si piegò alla mafia, denunciando ad alta voce i nomi dei criminali e dei collusi. In mezzo un paese sconvolto dalla violenza insensata delle stragi terroristiche, dove la mafia continuava a ingrossare le fila, arrivando lei stessa a insanguinare, qualche anno dopo, le strade d’Italia con le sue stragi.
Un identico destino, terribile e infausto, collega questi due uomini così diversi tra loro eppure così uguali: Aldo Moro e Peppino Impastato sono state le voci dell’Italia giusta, che non si è piegata alla violenza del terrorismo e della mafia, arrivando a pagare fino in fondo il prezzo della loro onestà. Oggi solo la memoria può continuare a far vivere il loro sacrificio: perché di questo si tratta, di due uomini che sono morti in nome di quello in cui credevano.
Quando il corpo di Aldo Moro venne ritrovato in via Caetani a Roma, l’incubo in cui era piombato il Paese durante i 55 giorni del sequestro da parte delle BR, divenne reale. I terroristi avevano vinto, avevano scaricato addosso al politico dieci pallottole, lasciando poi che il suo corpo venisse ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4.
Nello stesso giorno, a Cinisi la mafia inscenava il suicidio di Peppino Impastato: lo tramortirono e lo lasciarono sui binari della Ferrovia con una carica di tritolo addosso, sperando di uccidere non solo l’uomo ma anche l’immagine. Impastato aveva denunciato la mafia, facendo nome e cognome dei boss e dei politici collusi che stavano soffocando la sua terra. Usava le armi della conoscenza e dell’ironia per combattere i violenti con le parole. Tano Badalamenti diventa ‘Tano Seduto’, i cento passi che dividono le loro abitazioni diventano un simbolo. Lui li percorre tutti, senza paura, perché l’omertà è la vera arma vincente delle mafie.
Oggi l’Italia ha sconfitto i terroristi e la lotta alla criminalità organizzata ha segnato importanti vittorie. Eppure rimane ancora troppo da fare: la politica sembra diventata la scena di un ‘tutti contro tutti’ e si mettono in dubbio i principi sovrani della democrazia per avere qualche voto in più.
I clan hanno esteso il loro potere fuori dai territori d’origine, entrando nel tessuto sociale e produttivo italiano, grazie anche e soprattutto alla connivenza dei politici collusi. Se vogliamo davvero che la morte di Peppino Impastato e Aldo Moro non sia stata vana, dobbiamo ricordare non tanto chi erano, ma quello che hanno fatto. Perché l’Italia giusta non è morta con loro: l’Italia giusta è ancora viva.
Peppino Impastato, i 100 passi
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Peppino Impastato era un giornalista che fu ucciso per ordine del boss di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti. Impastato fu ucciso qualche giorno prima della sua elezione a consigliere comunale del comune di Cinisi. E proprio a Cinisi sono 100 i passi che separano la casa di Peppino Impastato dall’abitazione del boss Badalamenti. Ma, nonostante la distanza ravvicinata, Peppino non ha paura della mafia e porta avanti con coraggio il proprio obiettivo: creare un movimento d’opinione che possa arrivare a denunciare la mafia locale.
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Attraverso il gruppo “Musica e cultura” e l’emittente radiofonica “Radio Aut” denunciava il traffico di droga legato alla criminalità organizzata, facendo nomi e cognomi dei mafiosi e dei politici collusi. Nella notte del 9 maggio 1978 il suo cadavere fu posto sui binari della linea ferroviaria Palermo – Trapani, per mettere in scena un suicidio. Da allora, a mantenere vivo il suo ricordo la madre Felicia, il fratello e tutti i ragazzi che come lui lottano contro la mafia. Nel 2002 Badalamenti è stato condannato per l’omicidio del giornalista.
Aldo Moro, la notte di via Caetani
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Aldo Moro era un grande statista e presidente della Democrazia Cristiana. Si trovò ad essere per cinque volte a capo del governo. Il 16 marzo del 1978 Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse mediante un’azione rapida, che ebbe come vittime i cinque uomini che componevano la sua scorta.
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La prigionia del politico durò 55 giorni, al termine dei quali il corpo di Aldo Moro fu ritrovato in via Caetani, un luogo piuttosto significativo a livello simbolico, perché a metà fra le sedi della Dc e del Pci. L’intenzione di Aldo Moro era di arrivare a quella che potremmo definire “democrazia consociativa”: basi di governo più larghe, in modo da rappresentare nell’esecutivo più partiti e più elettori.
La notte del 9 maggio ’78
La notte del 9 maggio ’78 “fatalmente” accomuna questi due uomini, vittime uno del terrorismo e l’altro della mafia. Una notte che diventa il simbolo di come quel lato oscuro della società possa arrivare a dominare. Allo stesso tempo si tratta della notte del riscatto, a dimostrazione di come gli uomini possono morire, ma non le loro idee, che resistono nel tempo, fino all’alba del giorno dopo di un futuro fatto di speranza e di non rassegnazione.
La notte del 9 maggio ’78 può essere a buon diritto definita la notte in cui quei corpi ritrovati “gridano” con tutta la loro forza contro un silenzio fatto di paura, di chiusura, di mancanza di indignazione, a cui la politica e la società civile dovrebbero ribellarsi, prima che sia troppo tardi.