È notizia di ieri che si sono concluse le indagini della procura di Bergamo in merito alla gestione della pandemia da Covid, che hanno visto indagati, tra gli altri, anche l’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il ministro della Salute di allora, Roberto Speranza, il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, e anche l’allora assessore al Welfare, Giulio Gallera.
Come è stato spiegato nell’avviso di conclusione delle indagini, a pesare maggiormente è il non aver istituito la zona rossa nei comuni della Val Seriana, inclusi Alzano Lombardo e Nembro, provocando, secondo i magistrati, “un incremento non inferiore al contagio di 4148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo”. Il procuratore Antonio Chiappani ha poi spiegato che era impossibile archiviare l’inchiesta, ma che questa potrebbe servire anche per fare luce non solo a livello giudiziaria, ma anche politico e amministrativo su ciò che è successo. Conte in serata ha poi commentato di non volersi sottrarre alle verifiche giudiziarie, anzi, ha però anche sottolineato che il suo operato è stato fatto con la massima umiltà e che non c’era vademecum.
Dopo tre anni esatti da quando tutto, si presume, sia iniziato, la procura di Bergamo ha chiuso ieri le indagini sulla gestione della pandemia da Covid in Val Seriana notificando ai 17 dei 19 indagati l’avviso di conclusione. Due in meno, perché le posizioni dell’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e allora ministro della Salute, Roberto Speranza, anche loro dentro come anche il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, e il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, saranno trasmesse e vagliate dal tribunale dei ministri di Brescia.
Ma da cosa si devono difendere i politici e non dal procuratore Maria Cristina Rota e dai pm Silvia Marchina, Paolo Mandurino, Guido Schinina ed Emma Vittorio? Le accuse che vengono mosse vertono principalmente sul fatto che a livello locale, regionale e poi nazionale non si sia deciso di istituire una zona rossa nei comuni interessati, specialmente quelli di Alzano Lombardo e Nembro “nonostante l’ulteriore incremento del contagio in regione Lombardia registrato” il 29 febbraio e il primo marzo 2020 e nonostante “l’avvenuto accertamento delle condizioni che, secondo il cosiddetto ‘piano Covid’, corrispondevano allo scenario più catastrofico” causando la diffusione dell’epidemia, si legge nell’avviso di conclusione delle indagine della procura bergamasca.
Secondo i magistrati, infatti, c’è stato “un incremento non inferiore al contagio di 4148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo, di cui 55 nel comune di Alzano e 108 nel comune di Nembro, rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio”.
Nelle 35 pagine del documento, si legge ancora, le ipotesi di reato a carico degli indagati, tra i quali figurano anche l’allora capo della protezione civile, Angelo Borrelli, l’ex assessore al Welfare della regione lombarda, Giulio Gallera, l’ex direttore del welfare lombardo, Angelo Cajazzo, il direttore generale della prevenzione sanitario del ministero della Salute, Claudio D’Amario, ci sono l’epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti d’ufficio.
Nello specifico, non avrebbero rispettato le raccomandazioni dell’Oms del 5 e 23 gennaio 2020, l’allerta sempre dell’organismo mondiale per la sanità e del Paho, ovvero il Pan American Health Organization del 20 gennaio 2020, la dichiarazione del 31 gennaio 2020 con la quale il direttore generale dell’Oms dichiarava il coronavirus come “un’emergenza internazionale di sanità pubblica” e, e ancora, i documenti dell’Oms del 2014 e del 2017. E quindi, a partire dal 26 febbraio, secondo i magistrati, hanno sottovalutato i rischi del contagio nella zona della bergamasca facendo esplodere i contagi, e causando, come già detto, 4mila morti in più.
Non solo, però, perché tra le accuse c’è anche la mancata adozione e il mancato aggiornamento dei protocolli già utilizzati nel 2002 e nel 2012 per contrastare la Sars e la Mers e la mancata applicazione delle fasi 1, 2 e 3 del piano pandemico del 2006.
L’ex capo della Protezione civile e Brusaferro sono anche accusati della mancata attuazione dei protocolli di sorveglianza per i viaggiatori che provenivano dalla zone più colpite con riguardo ai voli indiretti – la sorveglianza era stata limitata ai soli voli diretti per l’Italia -, oltre che alla mancata verifica sulla dotazione di mascherine, guanti, soprascarpe e tute per gli operatori sanitari.
E ancora non è finita, perché le accuse delle procura di Bergamo muovono anche dal fatto che le disposizioni ministeriali avrebbero fatto perdere tempo e ridotto l’incisività nel contrasto alla pandemia, come l’iniziale indicazione a non eseguire i tamponi agli asintomatici, la mancata predisposizione di un modello informatico per consentire alle regioni di inviare i dati sui positivi; i ritardi e i disservizi del numero verde centralizzato 1500, i ritardi nell’attivare una piattaforma per il caricamento dei dati finalizzati alla sorveglianza epidemiologica, utile a comprendere la crescita esponenziale del contagio.
Il procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, in diretta su RaiTre, nella trasmissione Agorà, ha spiegato che “di fronte alle migliaia di morti e di fronte a delle consulenze che ci dicono che questi potevano essere anche eventualmente evitati, noi non potevamo chiudere con un’archiviazione l’inchiesta“. Il motivo per cui si è continuato a indagare non era tanto per accusare quello o quell’altro, quanto per capire cosa effettivamente sia successo in quei giorni e mesi in cui la pandemia ha iniziato a essere un problema anche in Italia e soprattutto in quella che è stata la zona più colpita.
“La vicenda è ricostruita tutta. Il discorso è la valutazione di quelli che noi riteniamo siano stati errori. Noi abbiamo contestato l’epidemia colposa“, ha detto ancora il magistrato. Con le indagini concluse, è arrivato il momento di aprire “le valutazioni da parte di altri soggetti e non solo della procura della Repubblica, ma chiaramente gli avvocati, le persone coinvolte e poi ci sarà un giudice che dovrà valutare se questi comportamenti integrano o meno i reati che noi abbiamo ipotizzato“, ha sottolineato Chiappani.
La sua speranza, ha detto ancora, “è che tutto questo, al di là delle accuse e delle polemiche che senz’altro ci saranno, sia comunque uno strumento di grandissima e pacata riflessione“, in quanto la scelta fatta “è stata quella di offrire tutto il materiale raccolto ad altri occhi, che saranno quelli di un giudice e di un contraddittorio con i difensori, perché è giusto che la ricostruzione la diano anche gli interessati e da tutto questo ricavare l’esperienza non solo di carattere giudiziario, ma se si vuole anche scientifico e amministrativo. Cioè una lezione e una grandissima riflessione“.
La procura di Bergamo ha fatto un “lavoro mastodontico nel vero senso della parola“, ha spiegato il procuratore che poi ha aggiunto che “ricostruire centinaia di vite, un insieme non solo di provvedimenti, ma anche di migliaia e migliaia di mail e di sms, tutti i rapporti anche di natura estera (il discorso dell’Oms e della mancata attuazione e aggiornamento del piano pandemico) e tutte le attività da parte delle amministrazioni, anche delle singole amministrazioni lombarde, non è un gioco“. E ha poi ricordato che la Procura si è avvalsa anche di “tre consulenze che sono durate oltre un anno”.
“Ci abbiamo impiegato tre anni, ma mi risulta che in tre anni non sia stata ancora neanche iniziata una commissione parlamentare. Quindi noi in tre anni comunque abbiamo fatto un’inchiesta“, ha concluso Chiappani.
Al termine del Consiglio nazionale del MoVimento 5 stelle a via di Campo Marzio, ha parlato della vicenda anche Conte. L’inchiesta di Bergamo sulla zona rossa “ci porta alla memoria un momento drammatico della nostra storia, un momento in cui abbiamo affrontato un virus invisibile. Oggi c’è quasi una rimozione collettiva, ma è stato un virus invisibile con cui abbiamo lottato – come istituzioni, come Italia – quasi a mani nude, perché siamo stati il primo paese occidentale più colpito, profondamente“, ha iniziato l’ex premier rispondendo alle domande dei cronisti.
“Non c’era un vademecum, abbiamo seguito un percorso, e ritengo di avere agito con la massima umiltà nel confronto con gli scienziati i quali, anche loro, non esibivano certezze nella prima fase della pandemia, con il massimo impegno e senso di responsabilità“, ha spiegato ancora l’Avvocato del popolo, che si è detto anche contento che sia in atto una verifica giudiziaria sull’argomento, “perché io credo che sicuramente i famigliari delle vittime e tutta la comunità nazionale hanno il diritto che ci siano queste verifiche giudiziarie. Io sono assolutamente disponibile a confrontarmi e offrire la mia massima collaborazione in tutte le sedi giudiziarie che mi verranno offerte“.
Lo deve, ha detto ancora Conte, non solo alle vittime di Bergamo, anche ai 188mila morti in tutto il territorio nazionale: “Questa è una ferita che non si rimargina, che rimarrà come una tragedia della nostra nazione“. Quanto a quello che farà, l’ex presidente del Consiglio ha spiegato che parlerò nelle sedi opportune, e non si sottrarrà a nessuna domanda. “Adesso c’è una vicenda processuale e giudiziaria, non mi sottrarrò a nessuna domanda ma non vi aspettate da me show mediatici“, ha concluso il leader del MoVimento 5 stelle.
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