Oggi, alle 13, il governo di Giorgia Meloni si incontrerà per la prima volta in un Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi: ci sono da licenziare decreti legge, alcuni neanche urgenti e necessari, sull’ergastolo ostativo, il rinvio della riforma Cartabia e lo stop all’obbligo vaccinale per i medici. E se anche qua ci potrebbe essere delle frizioni tra la prima premier donna della storia repubblicana italiana e Forza Italia, le cose non vanno meglio per quanto riguarda la partita dei sottosegretari.
I mal di pancia arrivano sempre dall’ala ronzulliana, che non arretra di un passo su Giuseppe Mangialavori. Il punto è che, invece, la leader di Fratelli d’Italia, come successo durante la formazione della squadra dell’esecutivo, non intende scendere a ricatti – che comunque non ci sono stati – e deciderà lei se il deputato calabrese avrà un posto da sottosegretario o meno.
Continua la battaglia a distanza (e a colpi di no) tra Giorgia Meloni, la prima presidentessa del Consiglio donna della storia della Repubblica italiana, e Licia Ronzulli, la senatrice di Forza Italia molto vicina a Silvio Berlusconi che, anche nella formazione del governo, ha avuto un ruolo di primo piano – e poi, per volere della premier, è arretrata fino a diventare la capogruppo al Senato del partito azzurro.
A squadra formata, la partita tra le due donne del centrodestra, e quindi della maggioranza, si gioca sui sottosegretari, e il copione pare essere sempre lo stesso: l’ex infermiera propone, meglio vorrebbe imporre dei nomi che stanno dalla sua parte – perché c’è anche un’ala, decisamente più governista, tra i forzisti, che fa al ministro degli Esteri, Antonio Tajani – e la leader di Fratelli d’Italia che li boccia.
A finirci in mezzo, stavolta, è stato Giuseppe Mangialavori, deputato calabrese che, pur non essendo indagato, è citato in un’inchiesta di ‘ndrangheta. Da FI dicono che non si tocca, dall’altra parte hanno già deciso che un posto nell’esecutivo non lo avrà. In compenso, però, nonostante la linea della premier sia quella di imbarcare quante più donne possibili – considerato soprattutto che a capo dei ministeri sono solo sei su 24 -, saranno tre i vice-ministri per il Cavaliere: Francesco Paolo Sisto alla Giustizia, Valentino Valentini al fu Mise e Paolo Barelli agli Interni.
Gli altri nomi in lizza sono, poi, Alberto Barachini all’Editoria, Matteo Perego alla Difesa, Matilde Siracusano al Sud, Deborah Bergamini ai Rapporti con il Parlamento, e Sandra Savino all’Economia qualora Francesco Battistoni non vincesse il ballottaggio per l’Agricoltura.
A completare il puzzle, che Meloni vorrebbe chiudere entro oggi – giusto perché c’è una finanziaria su cui lavorare, e alla svelta, dalla Lega, e quindi Matteo Salvini, avrebbero rinunciato ad Armando Siri, ma non a Edoardo Rixi alle Infrastrutture, ormai certo di tornare nel dicastero in cui già aveva avuto modo di operare nel primo governo di Giuseppe Conte.
Nicola Molteni, poi, andrà al Viminale, Claudio Durigon al Lavoro, Lucia Borgonzoni alla Cultura, Federico Freni al Mef, Vannia Gava all’Ambiente. Tra i nomi probabili, anche Giuseppina Castiello al Sud, Andrea Ostellari alla Giustizia, Paolo Arrigoni all’Energia, e uno tra Massimo Bitonci e Alberto Bagnai potrebbe avere una delega a Palazzo Chigi.
Tornando alle donne, considerata la penuria degli alleati, sarà il partito della premier a metterne in campo più di tutti, e quindi Maria Teresa Bellucci potrebbe andare al Sociale, Isabella Rauti alla Difesa, Augusta Montaruli all’Università, Paola Frassinetti all’Istruzione, Wanda Ferro agli Interni. Tra i sicuri: Giovanbattista Fazzolari è il designato numero per l’Attuazione del programma e Alessio Butti per l’Innovazione.
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