Mentre dal governo a guida Giorgia Meloni si è ingaggiata una lotta con i migranti, i cittadini italiani fuggono all’estero. Sono quasi sei milioni, ovvero il 9,8% dei residenti in Italia, i nostri connazionali che hanno deciso di lasciare il nostro Paese per trovare fortuna altrove, secondo il Rapporto degli italiani nel mondo della fondazione della Cei Migrantes.
Un fenomeno che, tra l’altro, sta bene (si fa per dire) al Sud come al Nord, Centro e isole comprese, e che fa poca differenza anche di genere e, talvolta, di età – considerato che tra i partenti ci sono anche molti pensionati. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha spiegato i dati non nascondendo la preoccupazione per i tanti giovani, altamente specializzati, che lasciano l’Italia senza fare ritorno, e nella maggior parte dei casi.
Sono 5.806.068, in pratica quasi sei milioni, gli italiani iscritti all’Aire, l’Anagrafe italiana per i residenti all’estero al primo gennaio 2022, in percentuale il 9,8% di tutti i residenti in Italia, in tutto 58,9 milioni. Più dei 5,2 milioni di immigranti regolari che, ancora, vivono e pagano le tasse a “casa nostra”.
Il Paese, secondo i dati del XVII Rapporto degli italiani nel mondo della Migrantes, una fondazione della Cei, presentato oggi a Roma, ha perso in un anno lo 0,5% della popolazione residente – in due anni, l’1,1% -, mentre quella all’estero è crescita del 2,7%, portando il computo totale dal 2020 al 5,8%. Fuori dalla percentuale, sono 154mila gli italiani che sono partiti altrove, e 274mila non sono più residenti da noi.
Comunque, la crescita generale è più contenuta rispetto a qualche anno fa. È dall’anno della crisi economica, il 2008-2009, che si registra una diaspora di nostri concittadini: oltre il 50% degli iscritti all’Aire, infatti, lo è da oltre 15 anni, e solo, si fa per dire, il 19,7% lo è da meno di cinque. Il restante 30% si divide tra chi risiede all’estero da più di cinque ma meno di dieci (il 16,1%) e lo è da più di dieci ma meno di 15, il 14,3%.
Ad aver frenato un po’ la mobilità, è stata soprattutto la pandemia. Da gennaio a dicembre 2021 si sono, infatti, iscritti all’Aire 195.466 cittadini italiani, il -12,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente quando erano, in valore assoluto, 222.260. Le partenze per “espatrio” avvenute lungo il corso del 2021 sono state 83.781, la cifra più bassa rilevata dal 2014, quando erano più di 94mila. In realtà, il trend di continua crescita si è fermato già lo scorso anno, quando comunque le partenze non sono scese al di sotto delle 109mila unità.
Stando poi ai dati dal 2006 al 2022, gli italiani all’estero sono aumentali del 134,8%, quindi 190mila a fronte degli 81mila dell’anno in cui abbiamo vinto i Mondiali in Germania. A pesare, però, ci sono anche le figlie e i figli degli “esuli” che, sì, vengono al mondo da cittadini italiani, ma che fin dalla nascita risiedono oltreconfine, crescendo e formandosi lontani dallo Stivale: l’aumento percentuale dal 2006, in questo caso, è del 167%, ovvero 2.321.402, contro gli 869mila di sedici anni fa.
Chi sono, però, questi 5,8 milioni di italiani non più tanto italiani? Il fenomeno, almeno per quanto riguarda l’età, è piuttosto trasversale. Il 21,8% di loro, non la fetta più grande, infatti, ha tra i 18 e i 34 anni, mentre il 23,2% ne ha tra i 35 e i 49, i cosiddetti giovani adulti. Quelli più maturi, invece, sono il 19,4% e vanno dai 50 ai 64 anni; gli anziani, quindi gli over 65, sono il 21% con l’11,4% che ha più di 75 anni. Al secondo gradino del podio dei meno rappresentati, i minorenni, che sono il 14,5% del totale.
Tornando agli anziani, nel Rapporto Migrantes si è sottolineato anche il boom di pensioni pagate all’estero, in incremento, nel triennio 2019-2021, del 45,1%, a fronte dell’8,2% di pensioni eliminate (nello stesso periodo, ovvio). La crescita si è notata soprattutto in America centrale, in Asia e in Africa, ed è rispettivamente del +48%, +33% e +26%. Il dato si può spiegare in due modi: da una parte ci sono gli immigrati che sono tornati in Italia dopo essere arrivati all’età utile per il pensionamento, dall’altra ci sono quelli che scelgono di mettere a disposizione le proprie competenze acquisite in casa nostra per poi partire e rimanere laddove ci si è trasferiti.
Per contro, si è registrato anche un forte decremento delle pensioni pagate tra l’America meridionale e settentrionale e l’Oceania. Nel primo caso, il numero è sceso del 7% rispetto al 2020, al Nord sono calate del 5% e tra Australia e dintorni del 3%. Questo nonostante l’età degli italiani residenti sia piuttosto elevata – in America meridionale gli ultraottantenni sono il 75%, in Oceania il 67% e in America del Nord il 65% -, segno quindi di quanto, ancora, la pandemia abbia inciso.
La maggior parte delle pensioni pagate all’estero sono comunque erogate in Europa, con il 63,8% del totale. E questo è dato dal fatto che, milioni di italiani, hanno cambiato meta. Prima dello scoppio della guerra, si sceglieva specialmente l’Ucraina, per esempio, ma in forte aumento anche i pensionati che andavano in Romania e in Portogallo, rispettivamente +3680, +3391 e+2561. Ma un incremento dei flussi di pensioni, si vede anche in Moldavia, in Portorico e in Tunisia.
Per quanto riguarda, per esempio, il Portogallo e la Tunisia, ma anche la Spagna, sono diventate mete molto ambite per motivi economico-finanziari, in pratica i pensionati cercano posti in cui poter beneficiare delle agevolazioni fiscali e con il costo della vita più basso, anche se il Paese con più pensionati Inps è la Germania.
I dati registrati evidenziano anche come ci sia poco differenza di genere per i trasferimenti oltreconfine: il 48,2% dei 5,8 milioni di cittadini residenti all’estero è donna, circa 2,8 milioni in termini assoluti, il restante è ovviamente composto da maschietti. Ci sono soprattutto non sposati, il 57,9%, ma anche tra chi lo è la pratica di andarsene non è così inusuale (siamo al 35,6%). I divorziati, invece, e i vedovi (maschi e femmine) sono decisamente di meno, rispettivamente il 2,7 e il 2,2%. Da qualche anno, poi, si registrano anche le unioni civili (circa 3mila).
La provenienza geografica, invece, incide un po’ di più, anche se il fenomeno della migrazione colpisce bene o male tutte le regioni d’Italia. Oltre 2,7 milioni sono partiti dal Sud, il 47% del totale, con le due isole maggiori, Sicilia e Sardegna, che hanno visto un “abbandono” di 936mila persone, circa il 16%. Più di 2,1 milioni (il 37,2%) sono partiti dal Nord Italia e il 15,7% è, invece, originario del Centro. Il 54,9% degli italiani, quindi quasi 3,2 milioni, sono in Europa, il 39,8% (oltre 2,3 milioni) in America, centro-meridionale soprattutto (32,2%, più di 1,8 milioni). Le comunità più numerose sono, a oggi, quella argentina (903.081), la tedesca (813.650), la svizzera (648.320), la brasiliana (527.901) e la francese (457.138).
Alla presentazione del Rapporto Migrantes, è intervenuto con un messaggio anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha iniziato rivolgendo un saluto agli organizzatori, in particolare a monsignor Gian Carlo Perego.
Poi l’analisi dei dati: “Nonostante il periodo della pandemia la tendenza a lasciare il nostro Paese è cresciuta negli ultimi anni“, ha detto il capo dello Stato che poi ha fatto un accenno ai giovani, specialmente quelli con alto livello di formazione, che lasciano l’Italia “per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione“.
Non solo, perché a Mattarella non è sfuggito neanche il numero dei pensionati che vanno a vivere all’estero, un fenomeno, ha spiegato, che “non può essere compreso interamente all’interno della dinamica virtuosa dei processi di interconnessione mondiale, che richiedono una sempre maggiore circolazione di persone, idee e competenze. Anzitutto perché il saldo tra chi entra e chi esce rimane negativo, con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale“, ma anche perché chi lascia la terra d’origine lo fa per necessità e non per libera scelta, perché qua non trova “una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio“.
Per questo motivo, ha continuato, si deve riflettere sulle cause e sulle opportunità che l’Italia offre a chi ci rimane a vivere o a chi vuole tornare. “Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e le varie politiche adottate a livello europeo rappresentano un punto di riferimento per provvedere a disegnare e programmare un futuro diverso, che risponda alle esigenze dei giovani e ne valorizzi capacità e competenze corrispondendo alle loro attese“.
D’altronde, ha concluso il presidente, “l’Italia è un Paese accogliente che deve coltivare le ragioni e le modalità delle sue tradizioni. Tutelando e promuovendo gli italiani fuori dai confini nazionali e sostenendo quelli che desiderano tornare nel nostro Paese, per contribuire alla sua crescita recando la propria esperienza, e le proprie capacità“.
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