Il Mondiale è alle porte e i club si sono fermati, ma non è per forza una bella notizia. Quanto sta succedendo negli ultimi anni in Qatar ha accesso la luce e fatto scattare l’allarme per la violazione dei diritti umani e le tante, troppe morti di lavoratori stranieri per la costruzione degli stadi. Nelle ultime ore, poi, è rimbalzata agli occhi dell’opinione pubblica un’altra notizia sconcertante: tifosi-influencer pagati per un lavoro di nation brading e la promozione dell’evento.
Il Mondiale in Qatar sarà uno dei trend topic dei prossimi giorni praticamente fino al prossimo Natale. La cassa di risonanza sarà talmente ampia da non dover essere neanche numerata o statisticamente registrata per averne prova. Eppure, gli organizzatori della coppa del mondo hanno deciso di offrire dei pacchetti molto allettanti per diventare tifosi e influencer dell’evento. Ma solo nella maniera che il Qatar desidera.
Il Mondiale in Qatar è pronto a iniziare sotto la bufera della violazione dei diritti umani
Non vogliamo esagerare, ma per molte nazioni e Nazionali il Mondiale è una religione, o comunque è un suo stretto parente. La competizione che si gioca ogni quattro anni blocca tutto, anche la scuola se sei in Argentina per permettere la visione dell’evento. E in Brasile c’è chi si è tolto la vita dopo non essere riuscito a metabolizzare la delusione della sconfitta. Non è giusto – penserete -, ma va rispettato. Come si rispetta l’amore incondizionato, la devozione, l’emozione.
Il calcio va oltre il pallone che rotola, la rete che si gonfia, i tifosi che urlano, piangono, fischiano. Il gioco più bello del mondo è cultura e ha tanto di viscerale e colorato per chi ci identifica il suo modo di essere e quello del suo popolo. Per questo, l’ultima notizia sui misfatti qatarioti a due passi dal Mondiale suona, ancora una volta, particolarmente stonata. E sembra quasi un eufemismo.
In Qatar di cose gravi ne sono successe fin troppe negli ultimi anni e vanno dalla violazione dei diritti umani alle morti di diversi e molti lavoratori stranieri impiegati nella costruzione degli impianti. Fin dall’assegnazione dell’evento al Qatar, sono stati in molti a storcere il naso e a mostrare il loro disappunto per la scelta. Giusto o sbagliato, l’ha deciso la storia, o meglio gli eventi che si sono susseguiti.
Più ci si avvicina all’evento, infatti, più ci si rende conto di come molte cose siano state gestite in maniera poco pulita e trasparente. È notizia di pochi giorni fa il fatto che sia stata attivata una fitta rete di spionaggio per far sì che i Mondiali restassero in Qatar, senza che nessuno potesse metterci bocca o mano. Ma perché tutto questo accanimento? Semplice, per discorsi commerciali, ma soprattutto di “nation branding” che non è altro che la promozione di uno Stato all’estero. E se si tratta del Qatar, che spesso i diritti umani li ha calpestati e accartocciati, non è cosa da poco.
Più alla larga, possiamo tranquillamente parlare di sportwashing e cioè di ripulirsi l’immagine anche attraverso eventi di portata internazionale e popolari, come può essere appunto il Mondiale. Il tentativo, però, sembra alquanto maldestro, tanto che la maschera è crollata ben presto sulle reali intenzioni del Qatar. Anche l’ex presidente della Fifa, Sepp Blatter, si è pronunciato sul tema con termini piuttosto duri: “È un Paese troppo piccolo. Il calcio e la coppa del mondo sono troppo grandi per questo. È stata una scelta pessima, un errore. Ora si tiene conto delle considerazioni sociali e dei diritti umani“.
Coro a cui si è unito anche Bruno Fernandes, il centrocampista portoghese del Manchester United. “Abbiamo visto i cosa è successo nelle ultime settimane e mesi in Qatar e anche le persone che sono morte durante la costruzione degli stadi. Non ne siamo contenti. Vogliamo che il calcio sia per tutti e che tutti siano inclusi e coinvolti nella coppa del mondo, che è per tutti. Questo genere di cose penso che non dovrebbero mai accadere“, ha detto in un’intervista a Sky Sport prima di sottolineare come i Mondiali siano una festa tanto per i giocatori, quanto per i tifosi. E a proposito di tifosi, se avete bisogno di altre prove, oggi è giunta all’attenzione internazionale una notizia che vi toglierà ogni dubbio.
Tifosi-influencer al Mondiale con un ricco pacchetto offerto dal Qatar
Proprio a dimostrare del fatto che il Qatar vuole uscirne con la faccia più pulita possibile dall’evento, gli organizzatori hanno avuto un’idea surreale per far sì che le cose vadano secondo la direzione prevista. Infatti, hanno creato dei veri e propri pacchetti che consistono in un biglietto aereo, l’albergo per almeno 14 giorni, che potrebbero anche aumentare con il superamento della prima fase eliminatoria. E poi anche gli ingressi agli stadi e una diaria quotidiana per un ristretto gruppo di tifosi. Ovviamente tutto pagato.
E va bene che per il Qatar i soldi non sono un grosso problema, anzi, ma non pensate a una corposa opera di beneficenza o qualcosa che vi si avvicina. Rientra in un maxi lavoro di marketing per la promozione della nazione del Medio Oriente e della sua reputazione pubblica a livello internazionale. Sì, perché le persone (che probabilmente è erroneo anche solo definire tifosi) che beneficeranno di tali pacchetti dovranno, in primo luogo, svolgere un accurato lavoro sui social che consiste nel segnalare post negativi nei confronti del Qatar o della manifestazione. Di contro, dovranno promuovere il più possibile l’evento e chi l’ha organizzato. In pratica delle marionette al servizio dei potenti che dovrebbero cedere il loro libero pensiero e arbitrio per il tornaconto di chi ospita il Mondiale.
Sbagliato? A dir poco. E non è finita qui. Infatti, queste persone dovranno presenziare alle partite sugli spalti e fare in modo di farsi riprendere e di essere felici, sorridenti, festanti. Delle controfigure in piena regola, che per il momento sono state “assoldate” per la cerimonia di apertura e per il primo match, quello tra Qatar e Ecuador. Il piano di marketing, però, dovrebbe allargarsi a tutte le partite e a molte Nazionali. E, concedetecelo, questa si chiama manipolazione dell’opinione pubblica, senza attenuanti.
Un cocktail miscelato malissimo se si pensa che stiamo parlando di calcio e di Nazionali, quindi anche di patria, di attesa, di valori e di identità. Stiamo parlando del tifo, che è quanto di più spontaneo e viscerale possa esserci, senza bisogno di sporcarlo con obblighi e forzature che poco hanno a che vedere con un fan che realizza il sogno di una vita: vedere la propria squadra dal vivo in una partita del Mondiale.
Noi, come Italia, non ci saremo è vero, ma questa notizia non potrà far altro che aprire ulteriormente gli occhi a chi fino ad ora li ha voluti tenere ben serrati per non capire la verità. Come cantano gli U2: “Open up your eyes, then you’ll realize” e qui c’è tanto di cui prendere coscienza. Molti l’hanno già fatto, tanto che “boycott Qatar 2022” più che un grido d’allarme è diventato un’esigenza, uno striscione, una voce di chi proprio non può crederci e non può piegarsi. Non può credere che il calcio sia diventato un mezzo per far comodo a determinati Stati che con il mondo del pallone c’entrano nulla. Non può ritrovarsi in un movimento che va nella direzione in cui è attratto dalla puzza del vil denaro. E, infine, non vuole piegarsi alle logiche finanziarie per mettere a tacere lo sfruttamento e la morte degli esseri umani. Peccati che non potranno essere espiati neanche dallo spettacolo che i campioni sapranno mettere in campo e, di certo, non da falsi sorrisi sugli spalti.