Il Covid ci ha messo di fronte a un’evidenza dei fatti: in Italia mancano medici. Per la precisione, mancano medici specializzati in determinati ambiti. Quindi no, rimettere il numero aperto alla facoltà di Medicina non è la soluzione al problema, come in realtà in tanti pensano, il primo Matteo Salvini.
Nel corso degli anni, tra l’altro, i posti nella facoltà più ambita sono aumentati, così come sono aumentati gli specializzandi. Questo, però, non ha risolto i problemi che si hanno nel comparto sanitario, che sono dovuti soprattutto a lunghe liste d’attesa che non permettono ai pazienti di ricevere assistenza in tempo e in fretta. In una lunga inchiesta del Corriere della Sera, condotta da Milena Gabanelli, si spiegano i motivi per cui, appunto, il numero chiuso a Medicina non è la panacea di tutti i mali, ma anzi in senso contrario si potrebbe andare incontro a più problemi che soluzioni.
La facoltà di Medicina è una delle tante realtà in cui gli studenti delle scuole superiori, per poter entrare, si devono imbattere in un test. Come è noto, non è semplice superarlo, sia perché è piuttosto difficile, sia perché sono tantissimi, ogni anno, quelli che “tentano la fortuna”.
Il motivo per cui è stata introdotta questa barriera – correva l’anno 1999 – è pratico, e non vuole mortificare gli studenti che rimangono esclusi, piuttosto risponde all’esigenza di formare dei futuri medici che possano essere all’altezza del compito che ricopriranno non appena finiranno il percorso di studi. Fu l’allora ministro dell’Università e della Ricerca, Ortensio Zecchino, a firmare la legge che ha cambiato le cose. Il numero di posti a Medicina, infatti, è legato alla disponibilità di aule, docenti, laboratori, alla possibilità di fare tirocini e alla partecipazione degli studenti alle attività formative obbligatorie.
Così facendo, si è risolto anche un altro problema: evitare di sfornare troppi disoccupati, come succede in pratica in molte altre facoltà. Ogni anno, gli atenei comunicano al Miur i posti a disposizione e, in contemporanea, la Conferenza Stato-Regioni raccoglie i dati su quanti saranno i medici che dopo dieci anni saranno pronti a entrare in ospedale. Il risultato è che, insieme, vengono definiti i numeri ateneo per ateneo.
Dal 2019 fino al 2022, sono stati garantiti il 50% in più dei posti (su base nazionale). Quest’anno, per esempio, sono stati 4961 in più gli studenti che sono entrati a Medicina rispetto al 2018, il che ha cambiato anche le proporzioni di chi, invece, non ce l’ha fatta. Dei 60mila candidati di quattro anni fa, solo uno su sette, su per giù il 15%, riusciva a superare il test, ora la percentuale è salita al 25%, con almeno uno studente ogni quattro che ci prova riesce.
A livelli di atenei, la Statale di Milano è passata dai 410 posti del 2013, ai 515 del 2022. Alla Sapienza e a Tor Vergata, a Roma, i posti sono cresciuti rispettivamente da 908 a 1156 e da 240 a 290, e lo stesso trend si può vedere anche a Bologna, Firenze, alla Federico II di Napoli.
Gli effetti si sarebbero già dovuti vedere, ma così non è stato perché, appunto, il test d’ingresso di Medicina non è il problema – così come non è una soluzione – al fatto che, in Italia, ci siano una carenza di medici che si è notata soprattutto durante il Covid, ma che è visibile anche ora che l’emergenza sanitaria si è attenuata di tanto. Le lunghe liste d’attesa a cui sono costretti i pazienti, infatti, è dovuta alla mancanza di medici sì, ma specializzati, soprattutto in determinati ambiti.
Una volta finiti i sei anni canonici, i medici non finiscono di studiare, ma devono scegliere una specializzazione. Non tutti riescono a entrare in quella che desiderano al primo colpo, altri ancora non ci entrano proprio perché la domanda è superiore all’offerta. Tra il 2013 e il 2018, dei 51.369 neolaureati solo 43.748 hanno completato il percorso di studi, la maggior parte entrando in scuola di specializzazione, altri scegliendo la via dei corsi di formazioni triennali per diventare medici di famiglia.
Uno specialista, però, non è a costo zero per lo Stato. A differenza di tutte le altre facoltà, in cui i tirocini e gli stage sono sottopagati o addirittura gratis, la formazione costa dai 102 ai 128mila euro. Ed è per proprio questo che mette un freno, perché ci si rende conto che, effettivamente, c’è una carenza, ma non si hanno gli strumenti finanziari per rispondere a tutte le richieste, specie di quelle del Sistema sanitario nazionale.
Nonostante questo, però, le cose, nel corso degli anni, sono cambiate, e anche se non le domande sono sempre di più, i posti nelle varie scuole di specializzazioni sono più che raddoppiati dal 2018 al 2022, mentre i corsi triennali per i medici di famiglia sono il 60% in più ora rispetto a quattro anni fa.
Il problema, ancora, che a fronte di questi aumenti, ci sono dei reparti che rimangono comunque scoperti. Il boom di esperti di microbiologia e virologia non ha portato a medici che vogliono investire nella professione, per esempio, e di 129 posti banditi, al 7 novembre, addirittura 106 sono rimasti senza assegnazione (l’82,2%). In Medicina d’emergenza e urgenza, invece, la percentuale di borse non assegnate è del 58,6%: in pratica, sono rimasti scoperti 499 posti su un totale di 851, ed è questo il dato più allarmante considerato che c’è un’emergenza in questo senso che ha portato anche gli strutturati a manifestare. Ma mancano all’appello anche radioterapisti, anestesisti.
Il senso in cui si deve lavorare è quello di ridurre i posti nelle specialità che non servono, e che spesso sono anche le più richieste, per andare a calcolare quelli che invece saranno ancora più indispensabili a ciclo concluso, quindi dai quattro ai sei anni in base alla specializzazione scelta. Solo così, infatti, si potrà colmare quel vuoto di medici che, ancora, non è dovuto al test d’ingresso a Medicina.
Anche perché il governo di Mario Draghi, con il decreto 1107 del 24 settembre del 2022, ha concesso agli studenti dei licei (e non solo) di tentarlo almeno due volte l’anno. I punteggi rimarranno sempre gli stessi, ovvero 1,5 punti per ogni risposta corretta, -0,4 per quelle sbagliate e zero per quelle lasciate in bianco. E la lotteria, il terno al lotto che dir si voglia, potrebbe diventarlo un po’ meno.
Ad aprile e luglio potranno partecipare tutti coloro i quali si stanno diplomando, si sono diplomati e addirittura sono al penultimo anno di superiori. Il miglior punteggio verrà poi inserito nella piattaforma dalla quale uscirà la graduatoria finale. Tutto questo, ovviamente, se il governo di Giorgia Meloni lo renderà attuativo e, considerato l’interesse del vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, sul numero aperto alla facoltà più ambita non è difficile credere che avverrà.
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