Tutte le 32 squadre, tra cui non c’è l’Italia, hanno giocato almeno una partita ai Mondiali di calcio in Qatar. Sono arrivate due sorprese – la sconfitta dell’Argentina e della Germania contro, rispettivamente, l’Arabia Saudita e il Giappone -, tre goleade, tutte di squadre europee, il gol bellissimo in semirovesciata segnato da Richarlison del Brasile, e molti sbadigli. Non è sul campo, però, che ci si è concentrati davvero.
Sebbene nel nostro Paese si sia iniziato a parlare troppo tardi della vergogna di questi Mondiali, tra lavoratori migranti morti e diritti umani calpestati, ora pare che sia il massimo argomento di discussione. Contro la Fifa si sono scagliate federazioni, quella tedesca e quella danese, ma anche la direttrice di Rai Sport, Alessandra De Stefano. E quindi, a quasi una settimana dall’inizio ufficiale della coppa del mondo, si può dire che il Qatar abbia fallito il tentativo di ripulirsi l’immagine con e attraverso lo sport, lo sportwashing per intenderci.
Può darsi che dal 18 dicembre, il giorno della finale dei Mondiali, tutto cambierà. Può darsi che, da tramandare ai posteri, ci sarà un bellissimo gol di Lionel Messi che risponde a un altrettanto bellissimo gol di Cristiano Ronaldo, così come è stata per la “mano de dios” di Diego Armando Maradona nel 1986. Può darsi, ancora, che Kylian Mbappé vinca la classifica marcatori, e che Thibaut Courtois si distinguerà così tanto da portare a casa la prossima edizione del Pallone d’oro, diventando il secondo portiere della storia a riuscirci.
Può darsi, però, che la ventiduesima edizione della coppa del mondo, dal campo, ci regali ancora poco e nulla, se si esclude la sconfitta dell’Argentina e della Germania contro Nazionali decisamente meno blasonate, e le goleade di Inghilterra, Spagna e Francia. Può darsi che, anche nella seconda, terza giornata dei gironi, agli ottavi di finale, ai quarti, si continui a parlare del contorno, della cornice, di quello che è successo prima e di quello che potrebbe succedere ancora, con la connivenza e la compiacenza della Fifa, il massimo organismo del calcio internazionale, in Qatar.
Perché fino a ora, malgrado politici di tutto il mondo siedano sugli spalti di stadi rinfrescati alla realizzazione dei quali hanno contribuito anche le morti di migliaia di lavoratori migranti, il tentativo del Paese mediorientale di ripulirsi l’immagine attraverso eventi e manifestazioni sportive, lo sportwashing, si può dire che è fallito miseramente.
È fallito nel momento in cui la Nazionale di casa – nonostante poco prima, a una cerimonia di inaugurazione inedita, ci abbiano mostrato immagini di un emiro che fin da piccolo giocava a pallone – ha dimostrato di non essere in grado di battere neanche la squadra, sulla carta, meno attrezzata del girone. È fallito nel momento in cui, della partita tra Inghilterra e Iran, si è parlato di più di quello che sta succedendo a Teheran, con le proteste che sono arrivate fino al campo, e che i giocatori iraniani hanno esplicato non cantando il loro inno nazionale che inneggia a un regime che da due mesi uccide persone per strada, e anche prima.
È fallito nel momento in cui non è stata fatta indossare la fascia arcobaleno, One Love, ai capitani delle sette Nazionali che, invece, volevano esprimere vicinanza, solidarietà, volevano dare importanza alla comunità Lgbtqi+, e non hanno potuto farlo perché la federazione di Gianni Infantino ha deciso che non potevano. E quindi ci ha pensato la ministra degli Interni tedesca, Nancy Faeser, a farlo per Manuel Neuer da quegli stessi spalti degli stadi con l’aria condizionata, costruiti nel deserto.
È fallito quando si sono viste le immagini dei potenti a bere champagne, mentre i poveri tifosi non si possono permettere neanche una birra, se non in determinati posti. È fallito quando la direttrice di Rai Sport, Alessandra De Stefano, ha parlato chiaramente della vergogna per l’assegnazione di questi Mondiali al Qatar. E come lei sono in tanti, che raccontano, documentano fin quando possono, fin quando non vengono messi a tacere, lo schifo che c’è dietro una scelta che ha portato miliardi nelle casse della Fifa.
È fallito quando i giocatori, non più automi fuori dal mondo, hanno denunciato quello che è successo. È fallito quando altri calciatori hanno detto cose che a tutti sono sembrate ipocrite, sbagliate, così come le parole del numero uno dell’organizzazione mondiale alla vigilia della gara d’esordio. È fallito quando i vip hanno deciso di non partecipare perché non lo ritenevano giusto per chi, quotidianamente, vede la sua dignità calpestata.
È fallito perché chi guarda il calcio non è una marionetta da manovrare a piacimento. Perché c’è una coscienza sociale che va oltre 22 persone che rincorrono un pallone. Ed è fallito perché è stato tutto tremendamente sbagliato, come in Argentina nel 1978, come alle Olimpiadi di Berlino del 1936, come in tante altre occasioni in cui lo sport è stato il volano per parlare di altro, per interrogarsi sui diritti umani, per prendere una posizione. Quella che non hanno saputo prendere dalla Fifa.
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