Per molti di noi l’effetto viaggio di ritorno è una realtà. Siamo noi a modellare a nostro piacimento il tempo, un concetto relativo. Secondo una ricerca che conferma la teoria della relatività di Einstein, le nostre aspettative tendono a plasmare il tempo percorso e a modificarlo: la nostra mente ci inganna. Quando torniamo indietro da una passeggiata, abbiamo la sensazione di averci messo meno tempo. Questa sensazione è chiamata effetto da viaggio di ritorno. Lo studio è stato condotto da tre ricercatori dell’Università di Kyoto e dimostra che (qualunque sia il mezzo con il quale si viaggi) l’andata sembri più lunga rispetto al ritorno.
Due gruppi di persone hanno visionato filmati di due camminate di 20 minuti per ognuno. Il primo di questi ha visto un video nel quale un cameraman va dal punto di partenza S (start) al punto di arrivo E (end), mentre nell’altro viene fatto il percorso al contrario. Il secondo gruppo invece ha visionato il filmato di andata (lo stesso del primo gruppo), mentre il secondo filmato era diverso: la distanza tra i due punti era la stessa, ma a cambiare era l’itinerario. A sostenere che il secondo filmato fosse più breve del primo è stato solo il primo gruppo.
Come spiegare questa percezione? Quando si conosce il tragitto e sia ha familiarità con esso, lo consideriamo più breve quando lo abbiamo percorso almeno una volta perché riconosciamo i punti di riferimento utili al nostro orientamento e il nostro cervello si concentra di meno. Questa percezione si può provare con qualsiasi mezzo: auto, treno, bici, a cavallo o a piedi. Ma ovviamente a questo bisogna aggiungere due costanti mentre si percorrere l’andata: la consapevolezza che ci sarà un viaggio di ritorno e la non periodicità del tragitto.