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Il referendum sull’indipendenza in Catalogna dell’1 ottobre 2017 segna il punto di massima tensione tra Barcellona e Madrid, ma perché la Catalogna vuole essere indipendente? Per capire davvero cosa è successo col voto di domenica è utile conoscere i motivi che spingono i catalani a voler essere uno stato a parte, autonomo rispetto alla Spagna. La lotta per l’indipendenza catalana dura da decenni ma solo ora ha raggiunto un punto di non ritorno: dopo il voto e le violenze della Polizia centrale, si è spezzato il filo del dialogo che per 35 anni ha tenuto unita la Spagna del post franchismo. I motivi dell’indipendenza della Catalogna sono tanti e passano dalla cultura all’economia, spesso però ammantati da lotta politica che di politico non ha molto.
Il referendum in Catalogna del 2017 è solo il primo di una serie di tentativi precedenti, culminati col referendum del 2014: anche in quel caso, il governo della Generalitat, guidato da Artur Mas, indisse il voto, portando alle urne i catalani favorevoli all’indipendenza e ottenendo l’80% per il sì. Anche in quel caso, il governo centrale, sempre sotto Mariano Rajoy, non riconobbe il voto, di fatto annullandolo.
Già allora il governo Rajoy si oppose ai tentativi di tenere un referendum sull’indipendenza, definendo il piano dei separatisti “insensato” e usando la legge per fermarlo. La Costituzione spagnola non permette ad alcuna regione di staccarsi, e anzi l’unità nazionale è uno dei pilastri della Carta, nata nel 1978 dopo la fine della dittatura franchista e votata anche dai catalani (in dettaglio è l’articolo 2 a sancire “l’indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli”, e a “riconoscere e garantire il diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni che la integrano e la solidarietà tra tutte”).
Le aspirazioni indipendentiste della Catalogna hanno diverse radici: vediamole.
Catalogna indipendente, le ragioni culturali
Il primo motivo, che è quello che più fa presa sull’aspetto emotivo, è legato alla cultura catalana. Dotata di una forte impronta culturale propria (la Barcellona colorata e ironica di Gaudì sembra l’opposto dell’austera e regale Madrid), ha anche una propria lingua ed è per questo, fin dalla Seconda Repubblica del 1931, che la Regione ebbe una grande autonomia.
Con la guerra civile spagnola e l’avvento della dittatura franchista, la Catalogna subì l’appiattimento al volere del generale Francisco Franco, perdendo ogni autonomia: negli anni della dittatura era vietato parlare il catalano. Il ritorno alla democrazia nel 1978 ha riportato l’autonomia alla Regione pur nel disegno dell’unità nazionale.
Cultura a parte, sono le ragioni economiche quelle che davvero contano. La regione più ricca della Spagna vuole la secessione rivendicando la libertà di esprimersi e il diritto dei cittadini di avere un maggiore controllo sull’economia, la politica e i servizi sociali in questa zona.
Oltre a essere la regione turistica per eccellenza, la Catalogna è anche la più industrializzata: qui hanno sede le fabbriche automobilistiche della Seat e della Nissan, e almeno altre 7mila multinazionali. Con 7,5 milioni di abitanti, pari al 16% della popolazione spagnola, contribuisce al 19% del Pil spagnolo. Il reddito pro capite è di 27.663 euro contro 24.100 della media spagnola e la disoccupazione è al 13,2% rispetto al 17,2% del resto del paese.
L’obiettivo principale è dunque l’indipendenza economica dal governo centrale, per non dovere più sostenere le altre regioni più povere della Spagna e promuovere invece degli investimenti sul proprio territorio.
Infine ci sono le ragioni politiche. Se le aspirazioni indipendentiste ci sono sempre state in Catalogna, non sono mai state maggioritarie, almeno fino alla crisi economica del 2008 che ha portato la Spagna sull’orlo del crac. Allora le misure di austerity imposte dal governo centrale hanno pesato soprattutto sulla parte più debole della popolazione, colpendo sanità, istruzione e mercato immobiliare.
Da allora, l’indipendenza della Catalogna è stata l’arma politica, della destra prima e ora della sinistra, per essere totalmente autonomi nella gestione politica.
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