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Politica

Perché la maggioranza è andata ko in commissione al Senato sul dl Lavoro

Dopo essere andata sotto alla Camera nell’approvazione del Documento di economia e finanza – era aprile -, la maggioranza ha ricevuto oggi un’altra batosta, ma in commissione Bilancio del Senato. Il voto sul pacchetto di emendamenti al decreto Lavoro, infatti, ha portato a un pareggio tra le due parti, dovuto all’assenza momentanea dei senatori di Forza Italia, e quindi la sospensione dei lavori e sicuramente il non approdo immediato del testo per la discussione in aula che sarebbe dovuta avvenire subito dopo.

Giorgia Meloni, presidentessa del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia – Nanopress.it

Dopo le polemiche, e gli attacchi da parte delle opposizioni, a partire dalla segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, fino al presidente del MoVimento 5 stelle, Giuseppe Conte, passando per la capogruppo del terzo polo (in quota Italia viva) a Palazzo Madama, Raffaela Paita, e il leader di Azione, Carlo Calenda, si è poi riusciti ad approvare il pacchetto dei dodici emendamenti, anche se con un cambiamento, infatti è stata ritirata la proposta di stanziamento di un milione di euro per la comunicazione istituzionale ed è stata rivista la scala di equivalenza dell’Assegno di inclusione (Adi). Ora il testo arriverà nell’aula di Palazzo Madama.

Manca Forza Italia, in commissione Bilancio al Senato la maggioranza va sotto sul dl Lavoro, e i senatori azzurri chiariscono che si è trattato di un incidente

La corsa contro il tempo per la conversione in legge del dl Lavoro – che, per non perdere gli effetti, dovrà essere fatta entro il 4 luglio – ha trovato una pietra di inciampo. La maggioranza, infatti, che aveva presentato un pacchetto di emendamenti al decreto legge con la relatrice, e senatrice di Fratelli d’Italia, Paola Mancini è stata battuta in commissione Bilancio, al Senato, in mattinata, rimandando l’approdo del testo in aula per la discussione e l’approvazione.

La mancanza degli esponenti di Forza Italia, non in protesta ma semplicemente in ritardo come ha chiarito successivamente Dario Damiani, uno dei componenti degli azzurri nella commissione, spiegando che “quello che è accaduto non ha rilevanza politica. Avevamo un impegno di gruppo che è ritardato di soli 15 minuti“,  ha fatto sì, infatti, che la conta dei voti portasse a un pareggio: da una parte i dieci del centrodestra, dall’altra i dieci delle opposizioni, e quindi lo slittamento dei lavori, con la sospensione della seduta, e chissà.

Paola Mancini, relatrice del dl Lavoro e senatrice di Fratelli d’Italia – Nanopress.it

Perché, nonostante la relatrice abbia detto che si è trattato di un incidente (che non doveva accadere, ha precisato) si è posto rimedio subito, presentando un nuovo parere da parte del ministero di Economia e finanza che, nella nuova votazione dopo lo stop dei lavori e la riunione dei capigruppo, è stata approvata con due cambiamenti, mandando il provvedimento in aula, in attesa che venga discusso (probabilmente anche in nottata). Le forze di governo, infatti, hanno accettato di modificare la norma ritirando quella che proponeva lo stanziamento di un milione di euro per la comunicazione istituzionale e rivedendo anche la scala di equivalenza dell’assegno di inclusione.

Come per la precedente votazione, ancora una volta le opposizioni hanno votato contro o si sono astenute: il Partito democratico e il terzo polo, compresa la senatrice di Italia viva, Silvia Fregolent, che in precedenza avrebbe dovuto assentarsi in maniera tale che la maggioranza non andasse sotto vista l’assenza dei due esponenti azzurri che, ha detto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, stavano “facendo un cocktail di compleanno“, si sono astenuti, mentre il MoVimento 5 stelle e l’alleanza Verdi e Sinistra hanno votato contro.

Nel merito delle assenze, oltre a La Russa, che in realtà ha richiamato i suoi colleghi del centrodestra “di trovare dei modi per cui non si debba sempre arrivare con l’acqua alla gola sugli emendamenti e sui tempi e spero che il mio richiamo a tutti abbia qualche esito positivo“, Claudio Lotito, uno dei due membri della commissione Bilancio in quota Forza Italia, e anche presidente della Lazio, parlando con l’Adnkronos, ha detto che lui è il più presente in assoluto. “Non ho mai saltato una commissione da quando sono stato eletto, non sono mai arrivato in ritardo. Sono il primo ad arrivare al Senato e sono l’ultimo a uscire. Praticamente lo chiudo io Palazzo Madama…“, ha detto il senatore che ha ulteriormente chiarito che si è trattato di un contrattempo, perché lui si è sempre attenuto a quello che gli dice il capogruppo.

Claudio Lotito, senatore di Forza Italia e presidente della Lazio – Nanopress.it

Le dietrologie non servono in questi contesti. Noi dovevamo scendere a una certa ora e siamo scesi, se hanno votato prima non lo so. Nel momento in cui il nostro capogruppo avvisa il presidente della commissione e dice ‘tra 15 minuti siamo giù’… Io non lo so dopo che è successo“, ha spiegato ancora il patron dei biancocelesti che ha concluso dicendo che “se la senatrice Mancini avesse fatto parte della Commissione Bilancio non avrebbe dato quella interpretazione. Inutile fare un film su questa cosa. Contano i fatti. Si ricordi, fatti non parole“.

Antonio Tajani, coordinatore e reggente del gruppo forzista, ha invece ribadito che si è trattato appunto di un incidente di percorso, “una tempesta in un bicchiere d’acqua” e non ha certificato alcuna divisione all’interno del partito o significato. “Era arrivato in ritardo un parere – ha spiegato parlando con i giornalisti a Londra -. I senatori di Forza Italia avevano chiesto un rinvio di 15 minuti, quando sono arrivati si era appena votato“. Per lui, ancora, sono cose che capitano, ma non dovrebbero farlo, nulla di preoccupante, però: “Lasciamo l’opposizione chiacchierare. Dovrebbe essere più preoccupata dei problemi che ha“, ha concluso.

Da Schlein a Conte, passando per Calenda: le opposizioni vanno all’attacco del governo, incapace (per loro) di approvare una legge

E in effetti le opposizioni, specialmente i leader, non hanno mancato di puntare il dito contro il governo. La prima è stata la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, che ha iniziato dicendo che “la maggioranza non sta in piedi“. “Il dl Lavoro – ha proseguito la deputata italo americana – era una delle bandiere programmatiche del governo Meloni. Oggi le forze di maggioranza non riescono nemmeno a garantire che gli emendamenti della relatrice siano approvati“.

Giuseppe Conte, presidente del MoVimento 5 stelle, ed Elly Schlein, segretaria del Partito democratico – Nanopress.it

Poi l’attacco frontale sul provvedimento in sé e per sé ritenuto sbagliato e che deve essere cambiato: “Noi continueremo a opporci a norme che aumentano precarietà e povertà. La verità è che questo esecutivo non sta in piedi, incapace di passare dalla propaganda ai fatti“, ha concluso la numero uno del Nazareno, a cui ha fatto da eco anche il presidente del MoVimento 5 stelle, Giuseppe Conte.

In un lungo post sui social, l’Avvocato del popolo, dopo aver elencato tutte le cose che non vanno nell’esecutivo, specialmente in quello che lui ha definito il “decreto precariato“, ha scritto che il governo di Giorgia Meloni è “incapace, inutile e dannoso“.


Leggero, poi, non c’è andato neanche Carlo Calenda, leader di Azione e senatore del terzo polo, che sempre su (suo amato) Twitter, ha dato una spiegazione di quello che è successo, e a cui hanno risposto in effetti da Forza Italia. Nonostante, infatti, come abbiamo già detto, dalle file della maggioranza e soprattutto quelle del gruppo il caso sia stato archiviato come un incidente, per lui si è trattata di una mossa politica degli azzurri, già in panne dopo la morte del presidente Silvio Berlusconi.


Ma i tre numeri uno non sono gli unici che hanno commentato questa seconda caduta del governo – la prima ci fu alla Camera per l’approvazione del Documento di economia e finanza a fine aprile. Come loro lo ha fatto anche il segretario di Sinistra Italiana, deputata dell’alleanza Verdi e Sinistra, Nicola Fratoianni, che ha detto che la maggioranza prima taglia “i fondi per le famiglie delle vittime degli omicidi sul lavoro, poi appena questa vergogna viene denunciata dalla stampa, annunciano di fare precipitosamente marcia indietro. Poi il pasticcio sul Mes e infine la destra non riesce nemmeno ad approvare i propri emendamenti. Un governo e una maggioranza in attività propagandistica permanente ma in confusione perpetua e che non riesce a dare alcuna risposta ai problemi reali del Paese“.

Ma anche Stefano Patuanelli, capogruppo dei Cinquestelle a Palazzo Madama, che già in mattinata aveva lanciato una frecciatina all’esecutivo per quanto riguarda il parere sul Mes del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (ancora) ha scritto che “lo stato comatoso continua“.

Mentre dalle file del Pd, il responsabile economico della segretaria, Antonio Misiani, ha detto che si tratta di “dilettanti allo sbaraglio”. E Daniele Manca e Beatrice Lorenzin, esponenti dem in commissione Bilancio al Senato, hanno sottolineato quanto già detto da Schlein, ovvero che “questo era un provvedimento simbolo, ma si è trasformato nel primo grande fallimento di questa maggioranza“, così come ha fatto anche il capogruppo Francesco Boccia.

Non si può fare finta di niente – ha detto -, non esiste il voto pari, un emendamento è respinto se non c’è voto in più e quindi oggi la Commissione ha bocciato gli emendanti“. Nel merito, poi, Boccia ha spiegato che “la maggioranza e il governo cercavano di porre toppe peggiori del buco sull’indice di equivalenza, sugli infortuni sul lavoro, sul lavoro gratuito, sull’utilizzo dei lavoratori che prendevano un tempo il reddito di cittadinanza. Tutti temi che abbiamo contestato e sui quali non sono state accolte le nostre proposte, poi maggioranza e governo hanno rabberciato idee per colmare queste lacune. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi sono stati bocciati tutti gli emendamenti presentati dalla maggioranza, non è possibile riproporli e non è più possibile tollerare il regolamento à la carte“.

Quanto al terzo polo, ma stavolta Italia viva, con la presidentessa dei senatori, Raffaella Paita, il dubbio è più o meno lo stesso posto dal collega, ovvero che stanno litigando su tutto nelle file dell’esecutivo.

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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