Giorgia Meloni alza la voce contro Riccardo Magi: “Non mi faccio intimidire!”. Cosa ha scatenato la reazione della premier.
Giorgia Meloni durante un convegno contro le droghe a Montecitorio, nella giornata di ieri, ha duramente risposto a una provocazione da parte del deputato di +Europa Riccardo Magi. La premier è andata in escandescenza dopo che Magi aveva esposto un cartello a favore della legalizzazione della cannabis.
Cosa è successo tra Giorgia Meloni e Riccardo Magi: “Io non mi faccio intimidire”
“Lei sa benissimo che io non mi faccio intimidire. Lei sa benissimo che io non sono una persona che si fa intimidire“. Così Giorgia Meloni durante un convengo a Montecitorio contro le droghe nella giornata di ieri, si è rivolta duramente nei confronti di Riccardo Magi – deputato di +Europa – che durante il suo intervento ha esposto un cartello con su scritto: “Cannabis: se non ci pensa lo stato ci pensa la mafia”. Tradotto, se lo stato non renderà la cannabis legale la mafia continuerà a gestire il traffico di droghe leggere e fare soldi.
Magi senza rispetto, Giorgia Meloni lo maltratta rinfacciandogli le politiche lassiste di tutta la sinistra sulla droga pic.twitter.com/NJT9Tct3f8
— Giank-deR 🇮🇹 (@GiancarloDeRisi) June 27, 2023
Il video e le immagini della reazione della premier hanno fatto in poche ore il giro di tutte le tv e di tutti i siti di informazione. Ma perché Meloni ha reagito così aspramente e con simile violenza? Era da mesi che la premier non tornava a vestire l’abito della furibonda leader di Fratelli d’Italia, alzando i toni e andando decisamente sopra le righe. C’entrano in qualche modo le vedute differenti tra la maggioranza “conservatrice” e le opposizioni, o il blitz in aula di +Europa? Sicuramente. Rimane in ogni caso una reazione piuttosto sproporzionata.
Un cartello non è certo una pistola, non è una minaccia, non è un atto di intimidazione esporlo, semmai di “provocazione”. Ma Meloni per un attimo è voluta tornare alle origini. A quando arringava le platee vestendo i panni del brutto anatroccolo ribelle che tutti volevano sopprimere, un cigno “nero” nel quale si sono rivisti milioni di italiani nelle campagne elettorali. La leva, fortissima, è stata spesso quella della “sindrome d’accerchiamento”, che per magia era rispuntata a pochi giorni dal suo insediamento. Quando si era auto definita una underdog, che “ce l’ha fatta contro tutti i pronostici”. Ancora, contro tutti e contro tutto.
Ed eccolo ritornata nella giornata di ieri quello spirito, quella sindrome da accerchiamento, che arriva poi a scomodare parole forti come “intimidazioni”. Io non mi faccio intimidire, dice Meloni, riferendosi a un cartello contro le mafie.
Ma la premier sapeva benissimo che quel cartello non poteva rappresentare una vera minaccia. Le ipocrisie tirate fuori durante il suo intervento al convegno contro le droghe non contenevano evidentemente contenuti necessari per mettere a tacere il guanto di sfida lanciato da Magi. Ecco il motivo dell’esagerazione, della “caciara”.
Il contrattacco
Essendo la sua l’unica voce della stanza ad avere la possibilità dell’amplificazione, Giorgia Meloni ha potuto anche contrattaccare: “Abbiamo visto il lavoro che avete fatto in questi anni sulle droghe. Abbiamo visto i risultati delle politiche che avete portato avanti”.
Tradotto: le politiche precedenti alle mie non hanno funzionato. Il contrattacco però, se possibile, fa più acqua della replica a caldo. Peccato che le politiche di contrasto alla droga non siano state fatte ne da Magi, ne da Draghi, ne da Conte, ne da Renzi. Si dia il caso che la legge sulle droghe oggi vigente si chiama “Fini-Giovanardi”, varata dal governo Berlusconi di cui proprio Giorgia Meloni faceva parte, con firma del leader di Alleanza Nazionale, ossia il predecessore di Fratelli d’Italia.
Ci sarebbe semmai da studiare quali risultati hanno portato le politiche favorevoli al proibizionismo (che raramente hanno funzionato in tali contesti) piuttosto dunque che barricarsi e fare gruppo dietro un cartello.
“Lei dovrebbe portare rispetto alle persone qui presenti, a quello che con la vostra propaganda avete fatto sulla pelle di queste persone“. È questo il secondo round del contrattacco di Meloni formato opposizione. Anche in questo caso, ammettendo che “le persone” a cui fa riferimento Meloni in aula abbiano fatto uso di cannabis, quella droga è stata comprata grazie alla mafia che grazie alle leggi attuali sulla droga ha il monopolio.
La premier durante l’intervento non si è sottratta a tirare fuori tutto il suo repertorio di retorica contro le droghe, tra cui ovviamente il simbolo dell’ideologia proibizionista “Tutte le droghe fanno male. Le droghe fanno male tutte, non esistono distinzioni, chi dice una cosa diversa dice una menzogna“, dice mentendo e sapendo di mentire Meloni nel suo intervento. Il paragone tra gli effetti disastrosi delle droghe pesanti e quelli delle droghe leggere infatti è squilibrato, proprio come quello tra intimidazioni e provocazioni.
Giorgia Meloni, il paradosso delle “intimidazioni”
Ma il tutto assume tratti ancora più paradossali visto che proprio nella giornata di ieri si svolgeva a Roma il processo contro Roberto Saviano, imputato per diffamazione e accusato proprio della premier. Saviano tramite i suoi difensori aveva fatto richiesta di sentire in aula come assunzione di nuovi mezzi di prova la premier Meloni. Richiesta che è stata però bocciata dal giudice. Dunque Giorgia Meloni non dovrà comparire, per rendere conto delle sue imputazioni.
Non è certo un segreto l’insofferenza di Meloni e Salvini – che hanno accusato il giornalista per diffamazione – nei confronti di Saviano. Basti pensare che il leader della Lega aveva fatto diventare la sua crociata personale la promessa di togliere la scorta allo scrittore.
A proposito di intimidazioni. Parlare di minacce proprio mentre si svolgeva il processo contro il sempre screditato dal governo Roberto Saviano, che per colpa delle minacce subite – reali da parte delle mafie – ha dovuto vivere una vita sotto scorta, apre un altro spunto di riflessione sugli usi impropri delle parole e sulla retorica usata dai vertici governativi in determinate sedi, su determinati argomenti.