Lionel Messi, sempre Lionel Messi. Ieri il fenomeno argentino ha trascinato i suoi contro l’Olanda verso una semifinale storica per se stesso, la sua squadra e il suo Paese. Poi ha rischiato di non bastare più per la rimonta subita dagli Oranges, ma ai rigori l’hanno spuntata i sudamericani. Nonostante una prova convincente, abbiamo visto comunque un Messi nervoso, polemico, a cui non siamo abituati. Ci sono alle spalle delle motivazioni ben precise, per i rapporti con Louis van Gaal e perché la partita si è parecchio incattivita a un certo punto. Non giustifica comunque un atteggiamento che non si abbina al meglio a un campione con la sua storia, in campo e fuori, al suo ultimo grande ballo con la maglia albiceleste.
Può sorprendere, può stupire, può regalare gioia. Quando Messi ha il pallone tra i piedi possono succedere solo cose belle, l’emozione che è insita nel calcio e in chi lo ama. Ieri, però, il campione tra i campioni ha mostrato anche un altro lato di sé, quello che emerge quando perdi la testa e ti lasci sopraffare dalla furia agonistica, che poi si trasforma in rabbia verso l’avversario. Non è da condannare, ma non da giustificare solo perché a farlo è uno dei migliori nella storia del calcio. Va semplicemente letta con lo scanner della misura degli esseri umani, nonostante c’è chi dica il contrario. Con le sue forze e le sue debolezze. E lo stiamo vedendo anche con Cristiano Ronaldo. Leo ieri ci ha dimostrato che l’idolatria non funziona e non è neanche un parametro corretto per osannare la storia di chi la storia la scrive in ogni partita.
Urla, gioia, poi tristezza e ansia a fiumi. Il timore incontrollabile di perderla, da una parte e dall’altra. Fino alla roulette russa dei rigori, da cui può emergerne solo una, l’altra finisce a casa senza troppe motivazioni per accettare la sconfitta. E con qualche rimpianto in più, quello di non essere palesemente inferiori a chi, invece, nelle semifinali c’è entrato e ci sarà dalla porta principale. È andata un po’ così tra Argentina e Olanda, ma anche in altri match di questo Mondiale che comunque di emozioni ce ne sta regalando, dobbiamo essere sinceri. Nonostante tutti i grandi nonostante che restano sullo sfondo. Se poco prima il Brasile viveva un altro psicodramma, questa volta ancora più inaspettato e ugualmente doloroso, l’Argentina non aveva altra possibilità se non superare l’ostacolo. Occasione unica per avere la strada un po’ più spianata verso il mito, una leggenda meritata, ma che tocca sempre dimostrare di meritare.
Non sappiamo davvero se sia stato l’ultimo doloroso ballo di Neymar, sicuramente lo era per Tite. Sappiamo che, comunque vada, lo sarà per Messi. E stiamo cercando di godercelo tutto, fino a che non diventerà stucchevole quest’appuntamento con la storia. Stucchevole o forse asfissiante, fino a sentirti imprigionato in un calcio che perde di vista la squadra per concentrarsi sul singolo. Un controsenso pericoloso di questo bellissimo sport. E allora un’Argentina Messicentrica è forse eccessiva, così come è eccessivo reputare l’Olanda una vittima sacrificale da tenere lì a prendere gli schiaffi dal numero uno per poi tornare mestamente dal Qatar a mani vuote.
Non è andata esattamente così. Inizialmente, la partita è rimasta bloccata con l’Albiceleste che cercava di trovare il giusto pertugio e gli europei forse un po’ troppo timorosi e rinunciatari. Un pertugio che ha trovato proprio Messi servendo un assist delizioso per l’1-0. Urla, feste, gioia – anche non richiesta -, ma forse semplicemente emozioni per gli ultimi scampoli di una luce speciale, che non sappiamo se ci illuminerà più gli occhi. Poi un rigore, Messi, sempre Messi. Due a zero e la semifinale a un passo, lì vicina. A due vittorie dal titolo.
E allora, a quel punto, una rimonta non se l’aspettava proprio nessuno. E invece è arrivata. Wout Werghorst ha vestito i panni del guastafeste e ha fatto centro per due volte, la seconda proprio quando faceva più male. A proposito di psicodrammi, c’è chi ha iniziato a pensare che dopo il Brasile ci avrebbe lasciato anche l’Argentina. E invece no. Perché i rigori hanno dato ragione a quella curva che cantava dietro e faceva tremare gli spalti. Passa Messi, passa l’Albiceleste. E va avanti tra le polemiche.
Sì, perché in questa favola, vi abbiamo omesso tutto il contorno che l’ha animata, quell’agonismo che si trasforma in furia e poi in stracci che volano, metaforicamente parlando. La partita, fin dal primo tempo, si è incattivita per scorie precedenti probabilmente, ma anche per quello che stava succedendo in campo. E protagonista della battaglia sportiva e della sua cornice è stato ancora una volta Messi. Senza poi più tornare indietro. Il 10 è parso, infatti, particolarmente nervoso nel match contro gli Oranges. L’arbitro sicuramente non ha aiutato, ma poi ne parliamo. In generale, è sembrata una riaffermazione di se stessi e della propria grandezza con chi cerca di minimizzarla. Come facevamo da bambini quando si credeva di essere i più forti del campetto. Non ha inciso sulla vittoria, anzi forse l’ha messa a rischio, ma ci ha restituito l’umanità del numero uno, e forse è ciò di cui avevamo bisogno per apprezzarlo un po’ di più.
La prova che la calma che Messi ha lasciato trasudare per gran parte della sua carriera fosse andata nel dimenticatoio l’abbiamo avuta in occasione del suo gol. Non ha pensato alla sua storia, non ha ragionato sul peso di quella rete, si è semplicemente avvicinato dalle parti della panchina avversaria, ha fatto un saltello e si è messo le mani alle orecchie. Come a invitare gli olandesi a parlare, proprio adesso, ora che erano sotto di due reti in un quarto di finale di un Mondiale. Poi gli Oranges hanno risposto sul campo, ma le polemiche con van Gaal e i suoi uomini non sono diminuite, anzi.
Alla fine l’arbitro tirerà fuori sedici cartellini, compresa l’espulsione di Dumfries, un dato pazzesco, da storia anche questo. I falli hanno iniziato a fioccare, l’arbitro – già nel primo tempo – ha un po’ perso la gara di mano, ha iniziato a fare il protagonista. Messi e compagni non hanno affatto gradito la direzione di Antonio Miguel Mateu Lahoz. L’Argentina in toto l’ha contestato diverse volte, anche durante il corso dei primi 45 minuti, poi però la rabbia è esplosa in occasione dell’episodio che ha cambiato la partita. La punizione dalla quale è nato il 2-2 è stata assegnata da Lahoz dopo che erano già scaduti i già tantissimi dieci minuti di recupero. L’Albiceleste non l’ha presa affatto bene.
Messi nel postpartita, come riporta “Tyc Sports”, non l’ha affatto toccata piano: “Avevamo qualche preoccupazione alla vigilia proprio perché sapevamo quale sarebbe stato l’arbitro. Per una gara così importante non si può scegliere un direttore di gara così. Ha dimostrato di non essere all’altezza, la Fifa dovrebbe riflettere e rivedere la partita”. Una bocciatura pesante che potrebbe costare anche i prossimi appuntamenti mondiali per il direttore di gara, cioè la semifinale e soprattutto la finale.
E comunque il parapiglia non è mancato anche dopo un doppio intervento abbastanza duro di Leandro Paredes a centrocampo. Il fallo era evidente, ma il centrocampista della Juventus ha pensato bene anche di scagliare con forza il pallone verso la panchina dell’Olanda che ovviamente è scattata tutta in piedi, tra spintoni, minacce e nervosismo incontenibile. Ma il picco, probabilmente l’episodio più polemico, lo si è raggiunto proprio alla fine dei giochi, dopo che Lautaro Martinez ha realizzato il rigore decisivo che è valso l’arrivo tra le prime quattro.
L’immagine dei calciatori dell’Argentina che esultano in faccia agli olandesi ha fatto il giro del web, subendo anche diverse critiche e condanne. Denzel Dumfries è stato espulso proprio in quell’occasione, dopo un Mondiale comunque da protagonista con l’Olanda. A molti, però, sarà sfuggito che Messi a fine partita si è di nuovo avvicinato alla panchina dell’Olanda, facendo un segno con la mano a van Gaal, del tipo “Parla, parla”. Che unito al “Non vi sento” di prima ha chiuso la questione sui rapporti tra il fenomeno ex Barcellona e l’allenatore. L’attaccante del PSG ha poi avuto parole dure nei confronti del tecnico dopo il match: “La partita non sarebbe dovuta andare ai supplementari, abbiamo sofferto troppo, ma alla fine abbiamo gioito. Van Gaal vuole far credere che pratica un bel calcio, in realtà le sue squadre sanno solo calciare palloni lunghi“.
Scorie che non nascevano di certo ieri. Van Gaal, infatti, aveva detto di Messi che non aiutava la squadra sotto il profilo difensivo, interessandosi di avere il pallone tra i piedi e della fase offensiva. Ieri è arrivata la risposta della Pulce, con i fatti e con i gesti. Gesti che non possiamo non condannare. Sì, perché l’essere antisportivi non può essere accettato di buon grado solo perché a farlo è Messi. E perché non si può sottovalutare il peso di essere degli idoli, l’emulazione che comporta, sul campo e in tutto il mondo, per milioni di bambini.
Leo ha perso la testa, è tornato semplicemente quel ragazzino più istintivo, primordiale, in preda al peso e all’agonismo. O forse nelle sue reazioni ci si può leggere anche un pizzico di paura, quella di non farcela e senza avere seconde chances, non questa volta. Non possiamo dirlo, ma abbiamo avuto sotto mano un Messi decisamente diverso da quello che incassa botte e insulti in silenzio, poi si rialza e fa vedere di essere il numero uno. Un calciatore fortissimo, ma – ci dispiace per chi insinua il contrario – umano, e proprio per questo meraviglioso, anche nelle sue debolezze. Che dal cielo se si cade ci si fa anche più male.
Sicuramente le provocazioni dell’Olanda e la gestione arbitrale hanno inciso, però, e allora cosa aspettarsi da Messi in semifinale e potenzialmente in finale? Ci aspettiamo un calciatore che avrà sulle spalle il peso della sua storia personale, di superare una volta per tutte un mito come Maradona, che dovrà fare pace con la possibilità di fallire per non condannarsi a fallire. Dovrà anche fare i conti con gli avversari, perché i croati non sono semplici da far fuori, basta chiedere al Brasile per crederci. E l’Argentina con una squadra così organizzata potrebbe fare tanta fatica a passare. Fino al prossimo lampo di Messi, uno che anima i dibattiti tra la realtà, la blasfemia e la storia del calcio, ma è semplicemente Leo. E dovremmo semplicemente godercelo in ogni suo genio, fino a che si può. Senza bisogno di etichettare e giudicare ciò che è sportivamente – e solo sportivamente – sovrannaturale. Un marziano che accarezza il pallone e ogni tanto perde pure la testa, alla faccia dell’idolatria sempre e comunque.
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