Perché Salvini sui rom ha ragione e torto allo stesso tempo

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Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini vuole un censimento dei rom. La destra esulta e parla di operazione sicurezza. La sinistra insorge e parla di schedatura nazi-fascista.

Specifichiamo subito che si tratta della stessa sinistra che nel 2012 avallò il censimento dei rom nella rossissima Emilia Romagna e che nello stesso anno a Milano, sotto la Giunta Pisapia, volle un censimento simile. L’assessore alle Politiche sociali di allora (e anche di oggi) Pierfrancesco Majorino però fa i distinguo. In sintesi: “Non intendevamo istigare all’odio sociale come fa Salvini, ma affrontare situazioni difficili come ad esempio quella della dispersione scolastica dei giovani rom”.

Sulla questione dei rom assistiamo ad un braccio di ferro fra i bruti di destra che invocano la forza e i petalosi di sinistra che vogliono salvare il mondo sparando cuoricini con la fionda. Il populismo di destra, basato sull’esibizione muscolare, fa solo danni. Così come fa solo danni il populismo di sinistra, basato solo sul buon cuore. Il problema è che fra chi utilizza solo i bicipiti e chi utilizza solo il cuore non ce n’è uno che ricordi di far funzionare anche il cervello: reprimere e basta serve solo ad esasperare gli animi. Salvini lo sa, ma cavalca l’onda di un elettorato stanco e arrabbiato. E più gli animi si incattiviscono, più il suo consenso si nutre di rabbia sociale. Allo stesso modo il lassismo buonista aggrava i problemi, perché un problema non risolto oggi è un grattacapo che si riproporrà domani con gli interessi. I nonni ci hanno insegnato che le soluzioni complesse si affrontano con bastone e carota, una locuzione bipartisan utilizzata sia dal fascista Benito Mussolini che dall’antifascista Winston Churchill.

Ebbene, oggi vedo solo l’ottuso bastone leghista, così come ieri vedevo solo l’insipida carota del centrosinistra.

Non amo i giri di parole, per cui chiarisco subito che il censimento nazionale dei rom (per me) non solo è giusto, ma necessario. Il motivo: se ci si pone l’obiettivo di affrontare un problema occorre prima di tutto avere chiara l’entità del fenomeno. Quanti sono esattamente i rom in Italia? E chi lo sa? Non lo sa il governo, non lo sa l’UE, non lo sa nessuno. Secondo l’ultimo report dell’associazione 21 luglio potrebbero essere 120mila, ma forse 180mila. C’è una forbice di 60mila teste che non si sa se esistano o meno. 60mila persone, praticamente la popolazione di città come Savona o Matera o Agrigento. E’ un Paese serio quello che non sa quanti siano i cittadini rom sul suo territorio?

I rom nati in Italia sono italiani, con buona pace dei razzisti e di Salvini, il quale annuncia espulsioni per i rom stranieri aggiungendo che quelli italiani “purtroppo ce li dobbiamo tenere”. Purtroppo un tubo: sono italiani, punto. Vanno aiutati, punto. Vanno costretti a lasciarsi aiutare, punto. Vanno sbattuti in galera quando commettono reati, punto.

Mi permetto di fare il benaltrista (tanto è gratis) e mi domando se il problema più impellente nell’agenda del ministro degli Interni sia rappresentato dai rom e non, citandone uno a caso, dalle mafie che negli ultimi anni hanno eroso dalle casse pubbliche la bellezza di 150 miliardi di euro. Mi rifiuto di accodarmi alla pletora di quelli che a giorni alterni danno del “fascista” a Salvini. Ma non posso non rilevare come la caratteristica dei fascisti sia tradizionalmente quella di linciare i soggetti più deboli. Sogno uno Stato che metta i mafiosi ai lavori forzati con una palla di ferro legata alla caviglia. Salvini attaccherà mai padrini e picciotti con la stessa violenza con la quale aggredisce migranti, volontari delle ONG e rom? Chi saranno le sue prossime vittime? I graffitari? I venditori di rose? I senzatetto?

“I rom rubano. I rom sono sporchi. I rom puzzano. I rom rapiscono i bambini. I rom bruciano rifiuti. I rom staccano i cavi di rame. I rom non sanno neppure esprimersi in italiano. I rom fanno matrimoni combinati. I rom si sposano fra minorenni”. Eccetera eccetera. Una miriade di luoghi comuni, alcuni dei quali spesso confermati dalla cronaca, vuole che i rom abbiano abitudini più simili a quelle delle bestie che a quelle dei sapiens. Chi scrive ammette di essere esasperato dalla ragazza rom sciatta, sgrammaticata e insistente che quotidianamente si piazza accanto alla biglietteria automatica della metro per estorcere l’obolo a chi compra un biglietto o ricarica la tessera. Ma attenzione: non vanno odiati i poveri, va odiata la povertà. E non va odiata quella ragazza, va odiata la miseria morale e materiale che l’affligge e dalla quale occorre salvarla. Quando Salvini attacca i rom sostenendo che i campi vanno chiusi e che gli abitanti di questi campi devono comprarsi una casa come fanno tutti gli italiani, dimentica qualche dettaglio:

  • per comprare una casa servono soldi, quanti datori di lavoro sarebbero disposti ad assumere un rom?
  • Quale padrone di casa sarebbe disposto ad affittare un immobile ad una famiglia rom?
  • Quale banca sarebbe disposta ad accendere un mutuo ad un rom?

Si tratta di un uroboro (per Salvini: un uroboro è un serpente che si morde la coda, in questo articolo il termine è utilizzato come sinonimo di circolo vizioso, ndr).

Se si lascia che le persone vivano come gli animali, allora non ci si deve stupire se esse si comporteranno come animali. In questo caso gli animali peggiori sono (siamo) “gli italiani” che permettono (permettiamo) una situazione simile.

Nessuna persona sana di mente potrebbe pensare che ai rom possa piacere vivere in mezzo alla monnezza, in campi sterrati che si trasformano in pantani dopo 10 minuti di pioggia, fra topi e scarafaggi, a soffrire il caldo d’agosto e il gelo di gennaio. Secondo l’associazione 21 luglio i rom che vivono in emergenza abitativa sono almeno 26mila. Una situazione umiliante non solo per i rom, ma per tutti gli italiani.

Le situazioni di illegalità vanno affrontate in maniera implacabile e con il pugno di ferro. Ma allo stesso tempo occorre aiutare i rom che intendano cambiare vita. Di più: lo Stato deve farsi carico di mostrare ai rom che un’altra vita è possibile, desiderabile e raggiungibile e deve affiancarli nel percorso verso il cambiamento. A chiunque risponda sostenendo che se i rom intendono cambiare vita, ebbene, che lo facessero con le proprie forze, replico qualcosa di molto semplice: è difficile smettere di fumare senza l’aiuto di un medico, è difficile perdere 10 chili senza l’aiuto di un dietologo, è difficile far spuntare gli addominali senza l’aiuto di un personal trainer. Come potrebbero 120/180mila rom compiere lo sforzo titanico di cambiare orizzonte di vita dall’oggi al domani senza che qualcuno li instradi, consigliandoli, incentivandoli o addirittura costringendoli?

La strada verso il cambiamento passa anche attraverso soluzioni drastiche, come quella proposta da Alessandra Mussolini che vuole togliere la patria potestà ai rom che sfruttano i bambini.

Un aneddoto conclusivo: nell’anno della mia nascita, svariate vite fa, mia madre insegnava in una scuola di Palermo, in zona Sperone. Una notte alcuni abitanti del quartiere entrarono nella scuola sfondando le porte per prelevare banchi e sedie che poi utilizzarono per la tradizionale Vampa di San Giuseppe. Quei palermitani di 39 anni fa erano più civili dei rom di oggi? Erano meno italiani? Meritavano di essere abbandonati dallo Stato? No? E perché oggi lo Stato dovrebbe abbandonare i rom?

Serve il pugno duro contro gli illeciti e serve aiuto a chi voglia cambiare vita. Che il bastone sia durissimo e colpisca senza sbagliare un colpo. Ma che la carota sia dolcissima e nutriente.

Salvini ripete sempre “prima gli italiani”. Ebbene, quasi la metà dei rom è fatta da italiani. Come la mettiamo?

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