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Decantato da sempre da poeti e scrittori, è sinonimo per eccellenza di amore spirituale: ma sapete perchè si dice ‘amore platonico’? Il significato di questa espressione, così come la sua etimologia, ci rimanda indietro nel tempo, esattamente all’antica Grecia e alla filosofia di Platone. Il filosofo ateniese, infatti, teorizza questa forma d’amore in una delle sue opere più famose – il Simposio – esprimendo il suo pensiero sull’Eros attraverso le parole di Socrate. E’ dunque un’espressione che ha un valore assai profondo, usata per indicare un amore non fisico ma ‘mentale’, o, per tornare ai giorni nostri, un amore a distanza o non corrisposto. Ma spieghiamo meglio il significato, e l’origine, del perché si dice amore platonico.
Quello teorizzato da Platone, dunque, è un sentimento aulico, una forma pura d’amore lontana dalla sfera sessuale. Nel corso del tempo, l’espressione è diventata sinonimo di amore spirituale, di un sentimento soprattutto mentale che difficilmente si traduce in azione. Spesso, per amore platonico s’intende anche una condizione psicologica, quando viviamo un amore non corrisposto o tendiamo ad idealizzare la persona che ci piace. Ma cosa c’entra Platone in tutto questo? Perché si dice ‘amore platonico’?
Benché prenda il nome da una teoria di Platone, l’espressione amor platonicus risale al XV secolo ed è opera di Marsilio Ficino: con questo modo di dire, infatti – usato come sinonimo di amor socraticus – l’umanista toscano indicava il rapporto speciale che si crea tra maestro e allievo, un rapporto basato sull’affinità morale ed intellettuale che Platone ben descrive nel suo dialogo più famoso, il Simposio: qui, per bocca di Socrate, il filosofo esprime la sua idea dell’amore.
Nel ragionamento di Platone (espresso dalle parole di Socrate e che spiega il perché si dice amore platonico), il dio dell’amore Eros è, in realtà, un demone figlio di Penìa, che rappresenta la povertà, e di Pòros, che è, invece, l’ingegno. Secondo il mito descritto nell’opera, durante le celebrazioni per la nascita di Afrodite Pòros si ubriaca e Penìa, che sperava di avere un figlio, ne approfitta e giace con lui. Dalla loro unione nasce Eros, il dio dell’amore.
Platone spiega così la duplicità di questo sentimento: benché sia la forza che muove il mondo, l’amore ha una natura ambivalente, un’accezione positiva e una negativa: da una parte è amore verso la forma, figlio del bisogno e della passione (l’amore carnale), dall’altra è pulsione dell’anima, amore per la conoscenza, dunque filosofia.
Il perché si dice amore platonico, quindi, è presto spiegato: è quell’amore diretto all’aspetto intellettuale anziché fisico, teorizzato nella sua opera da Platone e definito, come espressione linguistica, da Marsilio Ficino. Non solo.
Nel corso del tempo, l’amore platonico è diventato il fulcro di molti movimenti letterari, sinonimo di amore casto e di amore cortese, di cui diversi poeti si sono fatti ‘portavoce’ (un esempio su tutti, Dante e Beatrice); oggi invece ha assunto un senso quasi ‘figurato’, che rimanda ad un amore d’altri tempi, fatto di sguardi, di sussulti e di emozioni.
L’amore platonico è quindi un sentimento sublime, privo di ogni sensualità e di connotazione carnale; corrisponde alla fase iniziale dell’innamoramento e proprio per ciò che esprime, è l’amore puro per eccellenza, l’amore assoluto, quello che regola un rapporto affettivo speciale, dall’amore fra due amanti a quello familiare.
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