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Sport

Perché sono le parole di Infantino a essere ipocrite e non quelle di chi critica i Mondiali in Qatar

A un giorno esatto dal calcio di inizio di Qatar-Ecuador, in cui ci sarà anche un italiano in campo – l’arbitro Daniele Orsato -, il presidente della Fifa, Gianni Infantino, ha risposto alle critiche che sono piovute da ovunque per la scelta (non sua) di assegnare i Mondiali al Paese mediorientale.

Gianni Infantino – Nanopress.it

Oggi mi sento arabo. Oggi mi sento africano. Oggi mi sento gay. Oggi mi sento disabile. Oggi mi sento un lavoratore migrante“, ha detto in una conferenza stampa in cui si è tolto più di qualche sassolino dalle scarpe. E a proposito dei migranti, il numero uno del calcio internazionale ha spiegato come, in Europa, dal 2014 a oggi siano morti 25mila di loro, non l’imprecisato numero del Qatar. I suoi discorsi, arrivati troppo tardi, non sono piaciuti a parecchi, compresa Amnesty International, e sì, suonano decisamente ipocriti, specie dopo che lui per primo aveva parlato di concentrarsi esclusivamente sui campi di gioco.

Le parole di Infantino, presidente Fifa, sui Mondiali in Qatar sono ipocrite

Come avrete capito da giorni, alcuni anche da anni, sui Mondiali di calcio in Qatar, che inizieranno proprio domani, c’è un’ombra così grande – fatta di diritti umani negati, morti innocenti come quelle dei migranti – che sta oscurando anche la preparazione al torneo vero e proprio. Difficilmente c’è chi si chiede chi vincerà tra Francia, Argentina e Brasile, che sono le vere favorite ad alzare al cielo la coppa del mondo, il 18 dicembre, a Lusail.

Per carità, ci sono, eccome. Ma il dito è tutto puntato a quello che è successo nei dodici anni che hanno portato alla prima edizione del campionato internazionale da disputare in inverno, con i tornei nazionali bloccati sul più bello, in un Paese mediorientale. E lo sa anche Gianni Infantino, presidente della Fifa, che, pur non essendo stato al vertice dell’organizzazione al momento dell’assegnazione, ha portato avanti la scelta fatta da Joseph Blatter e dai suoi con convinzione, tanto da essersi trasferito in Qatar da mesi con la famiglia, tanto da aver sempre difeso a spada tratta il piccolo Stato sul Golfo persico.

Anche oggi, a poco più di 24 ore dal fischio d’inizio – di Daniele Orsato, il fiore all’occhiello del nostro parco arbitri – della partita inaugurale tra i padroni di casa e l’Ecuador (su cui sono state gettate ulteriori ombre, come un pagamento affinché gli ospiti si scansino), il numero uno del calcio mondiale ha deciso di continuare nella sua opera di convincimento che, sì, “abbiamo fatto proprio bene a far organizzare i Mondiali ai qatarioti”.

Dal punto di vista prettamente economico non ci piove, è stato un capolavoro. Per tutto il resto, invece, rispondere alle critiche facendo notare l’ipocrisia di fondo del mondo occidentale, dell’Europa soprattutto, non solo è doppiamente ipocrita, ma è anche profondamente sbagliato.

Gianni Infantino – Nanopress.it

La conferenza stampa di Infantino è iniziata ricordando che lui stesso, in primis, è stato vittima di bullismo da piccolo, perché figlio di immigrati italiani in Svizzera, e proprio per questo ha capito quello che è successo (e che succederà) a tutte le minoranze in Qatar, quindi lavoratori migranti, gay, africani, disabili, donne – ma di quelle si è ricordato solo dopo.

Le discriminazioni subite da bambino sono state il pretesto per spiegare che, come è avvenuto nel Paese elvetico, anche quello arabo potrebbe migliorare nella gestione di questi temi. D’altronde è il verso in cui si è andati con la riforma del lavoro, la kafala, che ha introdotto dei salari minimi per i lavoratori e protezioni contro il caldo.

Fin qua stridono due elementi: il primo è che solo in un senso ci sono stati dei miglioramenti – mentre, per esempio, i gay vengono ancora considerati dei fuorilegge-, e di tempo ce ne è stato a sufficienza per cambiare le cose. Il secondo è che, se proprio si dovevano assegnare i Mondiali al Qatar, almeno si doveva aspettare che di passi avanti ce ne fossero un po’ di più.

Il resto del discorso, poi, è sembrato ancora di più un arrampicarsi sugli specchi perché quanto è vero che in Europa, dal 2014, di migranti ne sono morti 25mila, questa non può essere una giustificazione per quelli che invece sono morti per costruire infrastrutture e stadi rinfrescati nel deserto, a maggior ragione perché ci sono arrivati in maniera legale.

Noi in Europa chiudiamo i nostri confini. Non permettiamo praticamente a nessun lavoratore di questi Paesi che stia cercando di venire a lavorare legalmente di farlo – ha detto -. Chi arriva in Europa, o chi vuole venire in Europa, deve affrontare viaggi molto difficili. Solo pochi sopravvivono. Quindi, se ci tieni davvero al destino di queste persone, di questi giovani, l’Europa può fare come ha fatto il Qatar: creare dei canali, dei canali legali, per aumentare la percentuale di questi lavoratori che vengono in Europa. Dai loro un po’ di lavoro, dai loro un po’ di futuro“.

Quale sia il futuro di persone morte suicide, o schiacciate da macchinari, o uccise dal caldo, non lo sa nessuno e non lo sa chi è morto. Quale sia il futuro, ancora, di persone che non possono esprimersi liberamente, da vive, nemmeno. E, soprattutto, non è ipocrita (ancora) esportare un modello che ha già dimostrato di non essere all’altezza neanche di fare fronte ai bisogni primari? La risposta è scontata.

Manuel Neuer con la fascia arcobaleno – Nanopress.it

Se non bastasse, il presidente Fifa è caduto anche sui diritti LGBTQI+, dicendo che tutti sono benvenuti sì, ma che parlarne e criticare per agevolare un processo di integrazione e di normalizzazione non porti a nulla se non a chiudere le porte. Un po’ come dire che di spazio per mostrare dissenso non ce n’è e si va dritti come treni con convinzioni che non solo sono sbagliate a prescindere, ma che fanno del male a chi, ogni giorno, è costretto a nascondersi, vivere nell’ombra.

Nella sua arringa, Infantino ha parlato pure di razzismo. Che però non c’entra nulla con il trattamento che si riserverà a determinate nazioni, quindi tifosi, ma loro sì, loro c’entrano. Perché per lui non è assolutamente vero che si stanno pagando supporter a caso per dimostrare che anche il Qatar avrà qualcuno a seguirlo negli stadi, o che non ci sarà nessun boicottaggio. “Qualcuno che sembra forse un indiano può non tifare per l’Inghilterra, o per la Spagna o la Germania? – ha chiesto – Sai cos’è questo? Questo è razzismo. Questo è puro razzismo. E possiamo fermarlo“.

E ci scusi, ma non lo è. Perché non c’è nessuno che ha puntato il dito contro il colore della pelle di chi andrà a tifare, considerando soprattutto i melting pot a cui siamo abituati anche grazie al calcio: E perché pagare persone per dimostrare che tutto è bello, tutto è fantastico, reprimendo (di nuovo) ogni dissenso è al limite dell’immoralità, sicuramente non rende onore a chi si presta, ma non lo fa neanche a chi sborsa i soldi, specialmente a loro.

L’ultimo tema affrontato, in maniera ipocrita anche quello, è stato quello dell’alcol. Persone in festa, specialmente tifosi di calcio, che non si potranno godere un bel boccale di birra non sono il problema più grande che si dovrà affrontare, su questo ha ragione Infantino, ma non lo è solo perché ce ne sono di peggiori. Ha ragione pure quando dice che si può sopravvivere per qualche ora al giorno. Ha meno ragione quando crede che venire incontro a determinate esigenze, anche culturali talvolta, in un Paese arabo e musulmano, non faccia parte di un processo di integrazione. E che si doveva tenere in conto perché pure quell’esperienza fa parte del tifo in sé e per sé, e nella forma più sana, sportivamente parlando.

Il Mondiale in Qatar ha messo in secondo piano l’importanza della storia calcistica

Sportivamente parlando, poi, l’assegnazione del Mondiale in Qatar e la direzione che ha già preso hanno portato, di fatto, all’oblio della storia sportiva europea e occidentale, o meglio del suo rilievo nella competizione per Nazionali più celebre e attesa in assoluto.

Brasile, Argentina, Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Italia – ahinoi non questa volta – e chi più ne ha più ne metta si portano dietro, non solo i campioni dalla tecnica sopraffina e dalla giocate mirabolanti, ma ancor di più una storia e una cultura calcistica paragonabile a quella del basket negli Stati Uniti: unica e inimitabile, proprio perché alimentata da decenni di battaglie sportive e trionfi.

Il Qatar è uno Stato grande quanto il solo Abruzzo e che ben poco c’entra con il calcio. Si inserisce solo se si parla di finanziamenti, inport-export, denaro semplicemente. Con la sua puzza e i suoi compromessi, molto spesso inaccettabile per i tifosi che ne fanno ragione di vita di quel pallone e di quel prato verde.

Superando i diritti umani, quindi, e occupandoci del calcio in sé e per sé, anche in questo caso, non si può tralasciare il fatto che questo Mondiale abbia costretto campioni che percepiscono milioni, ma fanno anche felici i tifosi, a mettere a rischio la loro condizione fisica, la loro performance mentale e in generale la loro salute.

Non può essere accettabile il fatto che i calendari siano stati spezzati in due e siano talmente striminziti da richiedere ritmi più bassi o turnover massicci, pena un numero tanto alto di forfait da essere costretti a giocare con i ragazzini del settore giovanile (chiedete a Juventus e Lazio, per crederci). E non può esserlo neppure spezzare la professionalità dei calciatori che con un orecchio restavano agli ultimi impegni con il proprio club, con l’altro erano già in Qatar. Che il Mondiale comunque si gioca ogni quattro anni e tutti i calciatori sanno che parteciparci potrebbe essere un evento irripetibile. O potrebbe essere l’ultima volta, come per i signori Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, non proprio due qualsiasi.

In definitiva, caro Infantino, per tutte queste ragioni, lo Stato del golfo Persico è sembrato drammaticamente impreparato a raccogliere queste istanze sportive, a metterle in primo piano e a valorizzarle. Lo sport più bello del mondo è sembrato stuprato e privato dei suoi valori costituenti e delle sue priorità, più volte calpestate e ridotte al bordo del ring. E, poi, diciamocelo chiaramente: se gli alti ranghi della politica del mondo hanno intenzione di rincorrere il formaggio sulla ruota, il denaro appunto, rinnegando la loro stessa cultura e storia calcistica, non ci siamo proprio e di certo non troveranno l’approvazione di tifosi, ultras, addetti ai lavori. Per questo farsi sentire non è ipocrisia, ma un’esigenza di chi ama il calcio e i suoi valori, non solo i miliardi che ci girano attorno.

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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