Il Perù è attraversato ormai da quasi sei giorni da una delle manifestazioni più importanti avvenute negli ultimi decenni. La marcia verso la capitale è nata giovedì scorso e ha visto confluire peruviani da tutte le zone anche dalle più insidiose, verso la capitale per partecipare, per l’appunto alla presa di Lima. Una manifestazione ma anche uno sciopero nazionale che mostra grande partecipazione affluenza da parte dei cittadini. I peruviani chiedono le dimissioni della presidente Boluarte che ha preso il posto del destituito Castillo. Dopo i 60 morti nelle proteste e durante gli scontri tra cittadini e polizia la situazione è ancora più nervosa e tesa.
Il nervosismo è peggiorato in maniera drastica e il popolo è più arrabbiato che mai soprattutto dopo lo sgombero dell’ateneo San Marcos che ha visto l’arresto di oltre 200 persone con l’utilizzo di mezzi corazzati da parte delle forze dell’ordine e, nonostante ci fosse stata una denuncia che indicava che i manifestanti si sono impossessati delle attrezzature del personale di sicurezza, il PNP ha deciso così di attuare lo sfollamento e il conseguente arresto di 194 persone di cui 193 già liberate. Effettivamente numerose associazioni per i diritti umani hannno riscontrato diverse violazioni dei diritti umani e i numerosi video hanno mostrato lo sgombero dell’ateneo San Marcos con evidenti prese di posizione non adeguate al contesto e decisamente fuori luogo.
Molte delegazioni regionali o associazioni di sindacati, che ancora non avevano preso parte alla marcia su Lima e allo sciopero nazionale hanno comunicato la loro presenza. La giornata di oggi vedrà un afflusso molto più consistente anche da parte di chi, fino ad oggi, non ha preso parte alle rivolte. Ovviamente l’attenzione è tutta sulla posizione dello stato e soprattutto quella di Dina Boluarte dato che per lei sembra che sarà praticamente impossibile evitare di incappare in un procedimento giudiziario che la vedrà coinvolta a causa dei decessi avvenuti durante le proteste che, seppur non imputate direttamente alla mano della presidente vengono ricondotti a lei in quanto non è stato attuato un richiamo alle forze dell’ordine, ma oltretutto si è anche lasciato procedere con mezzi corazzati e violenza eccessiva data la natura delle proteste a Lima, così come il resto del Perù, ovviamente nelle zone colpite dalle manifestazioni appaiono devastate e anche oggi 24 gennaio è in programma un’importante manifestazione e la tensione è alle stelle.
Dopo i disordini dei giorni scorsi, le forze dell’ordine hanno ampliato in maniera consistente la strategia per evitare le problematiche future e ieri, per esempio, sopra la città di Puno si è alzato un elicottero che ha tenuto braccati i manifestanti per evitare un’escalation, che potesse arrecare ulteriore danno alla situazione, già completamente compromessa impero.
La presidente della Repubblica Dina Boluarte sta vivendo un momento complicato è in realtà la sua carica, sopravvenuta dato che era la vice presidente destituito di Pedro Castillo, ha destato molto malcontento tra i cittadini peruviani nonostante si sia attuata la piena procedura costituzionale e democratica. Le proteste che si sono scatenate in Perù dopo che, il presidente Castillo, ha tentato di rovesciare le istituzioni sciogliendo le Camere e facendo cosi attuare un governo di emergenza, non sono mai smesse realmente dal giorno in cui è avvenuto il tentato colpo di Stato.
I peruviani hanno chiesto a gran voce le dimissioni di Boluarte e anche la scarcerazione di Pedro Castillo, che si trova attualmente in carcere e deve scontare una pena pari a 18 mesi di reclusione pervenuta dalla Corte Suprema brasiliana. Il popolo non si sente, però, tutelato dalla nuova presidente in carica e perciò elezioni immediate. Dopo che dal 19 gennaio è in atto uno sciopero nazionale che è cominciato con la marcia verso Lima tramutatasi, poi, nella presa di Lima che, attualmente, vede contrapposte forze dell’ordine peruviane e manifestanti che però provengono da ogni parte del Perù e fanno parte di molte delegazioni regionali e studentesche. Dopo che è emersa la brutalità delle organizzazioni statali e la repressione della polizia nazionale peruviana hanno deciso di lottare ancor più insistentemente e sostenere e i propri compagni, colleghi e amici brutalmente aggredite. Si parla di 772 feriti accertati e ciò non può essere tollerato e viene ovviamente addebitato ai vertici statali e governativi.
La situazione della presidente della Repubblica è alquanto complicata si apprende che, nei giorni successivi all’inizio della manifestazione su Lima ovvero il 19 gennaio, in due occasioni manifestato la volontà di rassegnare le sue dimissioni. A fermarla è stato il primo ministro Otarola Penaranda che ha spiegato al Capo di Stato che sarebbero stati perseguiti se avessero lasciato i loro incarichi.
La presidente ha poi dichiarato nelle ore successive che il Gabinetto si trovava più unito che mai e che non aveva assolutamente intenzione di lasciare la propria carica presidenziale. Ma per parlandosi al fatto che confidava nello stato di diritto che non può essere contestato e che ha seguito un percorso istituzionale e costituzionale è applicato alla perfezione e la posizione è arrivata in maniera democratica, senza complotti o prese di potere particolare. Pertanto Boluarte pensa di avere la piena facoltà di restare dov’è e nonostante abbia vacillato inizialmente durante l’inizio della presa di Lima ha poi fatto retromarcia continuando ad assumersi la responsabilità del della carica assunta. E il capo di Stato e il primo ministro dovranno rispondere davanti alle corrispondenti giurisdizioni giudiziarie dei 60 morti emersi dalla repressione poliziesca, fino ad ora.
E le domande e le azioni di cui dovranno rispondere non sono leggere da affrontare e comprendono oltre che la presidente e il primo ministro anche il ministro degli Interni Romero che è stato duramente attaccato a causa delle azioni militari e poliziesche avvenute all’ateneo San Marcos nei confronti dei manifestanti che hanno visto due mezzi corrazzati fare irruzione all’interno degli edifici universitari.
Secondo la teoria dell’avvocato penalista Andy Carrión non esiste uno stato di diritto che permetta era una cifra pari a 60 decessi e soprattutto uno scenario di sconvolgimento politico e sociale che ha sconvolto il Perù. Questo momento avrà ripercussioni su ambiti economici sociali e militari a breve termine ma non solo. L’avvocato pensa che Boluarte dovrà rispondere personalmente dei morti causati dagli scontri tra polizia e manifestanti.
L’avvocato ha precisato in un’intervista rilasciata a La Republica : “Sessanta morti nel corso della protesta, da quando è iniziata. In nessun normale stato di diritto ci si può permettere di avere così tanti morti. Ciò sta già violando i diritti fondamentali degli individui e di un gruppo sociale.I diritti fondamentali delle persone non vengono tutelati. Ovviamente, ciascuna di queste morti deve essere indagata. (…) Il governo non è stato rispettoso dei diritti umani”.”
Video e foto arrivate direttamente dall’interno delle proteste, mostrano la polizia violenta e la pericolosamente improntata alla repressione e alla liberazione della rivolta all’interno dell’ateneo universitario occupato e successivamente sgomberato dall’esercito.
La giurista ha specificato anche che la presidente sarà ritenuta responsabile delle morti e questo perché sono avvenute quando era a capo della direzione dell’apparato organizzato del potere e quindi, sostanzialmente, al comando delle istituzioni statali e governative. Anche se non ha ordinato direttamente la repressione violenta, che ha causato la perdita di vite umane, è responsabile di “non aver adottato misure concrete per revocare gli esiti nefasti” dell’intervento della polizia. Aggiunge il penalista inoltre che è il tipo di imputazione che viene gestito nei casi in cui si verificano violazioni dei diritti umani.
Carrion ha poi concluso spiegando che: “Sono assolutamente convinto (che una volta che lascerà la presidenza dovrà rispondere alla giustizia) perché le accuse che vengono mosse al presidente e al premier non sono dovute al fatto che sono stati presenti ai disordini e che hanno sparato, questa non è la forma di imputazione. Questo è stato fatto con Alberto Fujimori, gestiscono l’apparato statale, prendono decisioni su un apparato di potere organizzato, non hanno bisogno di essere sul posto, possono o dare ordini per reprimere le manifestazioni o, in secondo luogo, è possibile che la polizia sta superando l’uso della forza. Dovrebbero essere prese misure per revocare l’uso eccessivo della forza. Quell’ordine non è stato dato”.
Anche per quanto riguarda il ministro dell’Interno si è alzato un polverone ma, lui stesso, ha risposto alle domande pervenute dai media e dai cittadini che hanno chiesto quale fosse il suo coinvolgimento in merito alla vicenda dell’ateneo San Marcos.
Ha chiarito inoltre un aspetto importante in merito alle indagini svolte dal pubblico ministero per genocidio nei confronti di Dina Boluarte dice che a suo avviso non corrispondono esattamente alla classificazione corretta dato che “non ha dato l’ordine di eliminare un gruppo sociale, razionale, tutt’altro”. Lei dovrà rispondere del reato di omicidio qualificato e non perché è andata a uccidere, perché così si difendono tutti. Omicidio colposo per omissione e penso che finirà per avere condanne così alte per questo crimine, che vanno dai 15 ai 20 anni“.
Anche per il ministro dell’Interno Romero sono arrivate critiche e accuse importanti, che lui stesso ha voluto discutere in prima persona per poter spiegare la realtà dei fatti. Il politico ha rivelato di aver appreso della della repressione, da parte delle forze dell’ordine all’interno degli edifici universitari direttamente, dalla tv in quanto non è stato dato nessun ordine politico. Ha specificato, a Exitosa, infatti che: “Non c’è stata alcuna decisione politica (entrare a San Marcos) perché quella è una decisione chiaramente presa dalla Polizia che ha avuto. L’ho scoperto guardando l’intervento in televisione. Lo hanno fatto per flagrante delicto”.
Interpellato sulla denuncia di abuso di potere che è stato commesso nell’operazione di sgombero agli edifici universitari, il capo dell’Interno ha risposto che deve “accertare che c’è stato qualcuno che ha commesso un eccesso o un reato del personale intervenuto”.
Vicente Romero ha aggiunto di aver richiesto una relazione sullo sgombero al Dean of America, dove sono già stati rilasciati 192 manifestanti.
Per quanto riguarda la repentinità dell’intervento, il ministro ha affermato che “per gli standard internazionali quando c’è una grande folla per poter intervenire, e non avere l’identificazione perché per questo, è meglio che tutte le persone siano sul pavimento per la loro incolumità lui stesso e quelli delle forze dell’ordine”.
Ha indicato che l’operazione non ha avuto procuratori o rappresentanti dell’ufficio del difensore civico. Inoltre, ha respinto l’intervento del Dircote.
Romero attraverso un comunicato ha riferito di aver chiesto “solo” alle forze dell’ordine di liberare le porte prese da alcuni studenti e manifestanti ma non un intervento massiccio e con l’utilizzo di forza e automezzi corazzati.
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