Perù: i manifestanti chiedono le dimissioni del presidente, Dina Boluarte, nonché una riforma della Costituzione.
Procedono senza troppe difficoltà sulle strade peruviane. Provenienti principalmente dal sud del Paese, epicentro delle proteste da più di un mese, migliaia di manifestanti sono confluiti nella mattinata di giovedì 19 gennaio, verso Lima, la capitale. Si fa sempre più forte il dissenso verso la presidente Dina Boluarte, della quale chiedono, a gran voce, le dimissioni.
Lungi dal sentirsi intimiditi dallo stato di emergenza decretato in diverse regioni il 15 gennaio, che autorizza l’esercito a intervenire a fianco della polizia, si sono organizzati – in queste settimane – per combattere la loro nuova battaglia, la “presa di Lima“, una grande manifestazione di protesta.
È stato anche indetto uno sciopero generale, a cui partecipano molte organizzazioni sindacali, contadine e studentesche.
Viaggiando in camion, minivan o autobus, i manifestanti delle Ande sperano che finalmente il potere centrale ascolti le loro richieste: le dimissioni del presidente Dina Boluarte, lo scioglimento del Congresso e dell’organizzazione, nuove elezioni il prima possibile.
Nei cortei verso la capitale, dove si intonano canti e slogan, la gioia e il sentimento di lottare per una “causa nobile” si mescolano alla rabbia.
I contadini indigeni, la popolazione più svantaggiata del paese che aveva votato in massa durante le elezioni presidenziali del 2021 per Pedro Castillo, nel quale avevano riposto tutte le loro speranze, ancora non accettano il suo licenziamento, il 7 dicembre 2022, in seguito al suo fallito tentativo di colpo di stato.
Le élite di Lima sono accusate di accumulare ricchezza attraverso un sistema corrotto e l’incapacità della democrazia peruviana di lavorare a beneficio dei più poveri.
Il Perù sta sprofondando nel caos. Migliaia di persone, soprattutto dalle Ande, hanno manifestato per chiedere le dimissioni del presidente peruviano Dina Boluarte nel centro di Lima, dove sono scoppiati violenti scontri tra i manifestanti e le numerose forze di polizia schierate.
Gli scontri hanno provocato altri due morti nel sud del Paese. Ad Arequipa, la seconda città del Perù, violenti scontri intorno all’aeroporto hanno provocato un morto – un uomo sulla trentina – e dieci feriti, secondo l’ufficio del difensore civico del popolo.
Poco prima l’ufficio aveva annunciato la morte di un altro uomo, ferito il giorno prima negli scontri a Macusani, vicino a Puno, al confine con la Bolivia. Sale così a 45 (44 manifestanti e un poliziotto) il numero delle persone che hanno perso la vita nei disordini dal 7 dicembre, data di inizio della crisi.
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