I danni della pesca intensiva, e più in generale della presenza invasiva dell’uomo nell’ecosistema, si stanno facendo sempre più allarmanti: uno studio di ricercatori statunitensi dell’università americana di Stanford ha infatti rilevato come i grandi animali marini stiano scomparendo dal loro habitat naturale, mettendo in crisi il già fragile ambiente oceanico provato da inquinamento, riscaldamento globale e le altre conseguenze derivanti dalle attività umane. Nonostante gli appelli delle associazioni ambientaliste nessuna vera politica di contenimento della pesca intensiva è stata messa in campo in ambito internazionale, con il rischio che davvero entro pochi decenni potremmo dire addio a specie di importanza vitale anche per l’uomo.
Lo studio pubblicato sulla rivista Science è partito dall’osservazione di 2497 gruppi di vertebrati marini e molluschi negli ultimi 500 anni, con i ricercatori impegnati a comparare il numero e la qualità delle specie estinte in tale lasso di tempo con quelle sparite nelle cinque grandi estinzioni di massa che hanno contraddistinto la storia del pianeta: l’aspetto più inquietante è che la ricerca non ha trovato nei fossili alcun precedente alla tendenza attuale, questo vuol dire che la velocità e la dimensione di questa sparizione globale di specie di grandi dimensioni stanno raggiungendo numeri impressionanti. Le precedenti estinzioni di massa avevano coinvolto tutti gli animali marini, oppure si erano limitate a quelli di dimensioni più piccole, mentre adesso colpisce specie che giocano un ruolo determinante negli ecosistemi marini: la loro scomparsa avrebbe ricadute ecologiche sulla struttura e il funzionamento degli ecosistemi stessi, come spiega il direttore della ricerca, Jonathan Payne.
Non è la prima volta che la pesca intensiva viene messa sotto accusa per le sue conseguenze: nel 2013 uno studio della biologa marina Asta Audzijonyte pubblicato sulla rivista Royal Society Biology Letters ha dimostrato che la correlazione tra pesca intensiva e cambiamenti climatici sta facendo diminuire le dimensioni dei pesci, con importanti conseguenze sulla riproduzione e sulla mortalità predatoria. Tornando alla ricerca americana, Payne cita come esempi di creature a rischio la scomparsa dalle barriere coralline delle grandi lumache di mare, senza le quali si sono moltiplicate le stelle marine che divorano il corallo, oppure la sorte di tonni e merluzzi, senza le quali l’umanità perderebbe un’importante fonte di proteine. Secondo Noel Heim, un altro degli autori dello studio, quando ‘gli umani entrano in un nuovo ecosistema, gli animali più grandi sono uccisi per primi. Gli ecosistemi marini finora erano stati risparmiati, perché fino a poco tempo fa gli umani non avevano la tecnologia per pescare nel mare profondo su scala industriale‘. Ora che l’uomo è in grado di dominare anche gli oceani, nemmeno questo ecosistema può dirsi immune alla sua azione.