Ormai Natale è dietro l’angolo e mai come in questi giorni la gente si appresta a fare spese folli, per imbandire tavole luculliane degne degli antichi Romani. E’ proprio in questi momenti che il rischio truffa sale alle stelle. In vetta alla classifica dei cibi contraffatti non poteva che trovarsi il pesce. Quante volte siete stati convinti di mangiare un dentice e in realtà era soltanto un pangasio? Voi non lo sapete, ma sicuramente sono state molte!
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Come si suol dire ‘Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’, e vale anche per il pescivendolo. Secondo un’indagine condotta da Altroconsumo, infatti, quasi la metà dei pesci venduti non corrispondono alla specie dichiarata.
Il fenomeno coinvolge sia la grande che la piccola distribuzione, anche se va sottolineato che esiste una maggior tendenza all’inganno nelle pescherie e nei mercati rionali di tutto lo Stivale, mentre nella grande distribuzione si riscontra più attenzione.
Il rischio maggiore si corre, quando si acquistano i filetti: il loro aspetto ‘neutro’, si presa a facili contraffazioni.
Non basta dunque controllare le indicazioni riportate sull’etichetta, perché spesso non raccontano tutta la verità.
Le modalità di scambio possono essere diverse e di conseguenza caratterizzano truffe più o meno gravi. Nei casi peggiori vengono venduti prodotti totalmente diversi e di qualità molto inferiore.
I casi più eclatanti? Al posto di filetti di cernia, dentice o persico, sono stati trovati filetti di Pangasio, un pesce che viene allevato in Vietnam e arriva in Europa già congelato (attenzione: da noi viene venduto come fresco!). O ancora smeriglio al posto del palombo.
In altri casi invece, viene omessa una parte della denominazione del pesce: ad esempio, la cernia Atlantica diventa semplicemente la cernia, il polpo del Messico diventa il polpo.
Una delle armi che si ha a disposizione per cercare di difendersi dalle truffe del pesce è l’attenzione al prezzo: quando è troppo basso è sicuramente indice di qualcosa che non va.
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