Petrolio come carbone: investimenti in fuga e consumi in calo

estrazione petrolio

Lo hanno soprannominato oro nero, in suo nome si sono fatte direttamente o indirettamente molte guerre degli ultimi anni, ma il petrolio come il carbone sembra avviarsi al tramonto: mentre in Italia si avvicina il momento del referendum sulle trivelle in mare, che diventa inevitabilmente una scelta di campo definitiva da compiere nel settore energetico, i dati su investimenti e domanda riguardanti questa materia prima altamente inquinante dimostrano che c’è una vera e propria fuga verso le energie rinnovabili, oramai ad un passo dal sorpasso come prima fonte di elettricità nel mondo. Media cartacei e sul web documentano l’abbandono progressivo a petrolio e carbone anche da parte di chi con questi materiali si è arricchito, e non poco, nei decenni precedenti.

Non solo i big dell’imprenditoria, i grandi comitati d’affari, le banche e le fondazioni, stanno abbandonando gli investimenti sul petrolio, ma persino gli sceicchi sauditi hanno dichiarato di voler quotare in Borsa la loro azienda Aramco, titolare delle maggiori riserve di petrolio del pianeta con una produzione di oltre 10 milioni di barili al giorno, per ricavare i miliardi necessari da investire altrove, e tra i vari settori citati nella strategia di diversificazione vi è anche il fotovoltaico. Secondo gli esperti il petrolio si sta avviando nella medesima strada del carbone, che ha visto progressivamente chiudere le miniere estrattive in maniera direttamente conseguente al calo della domanda: il mercato del greggio è cambiato in maniera irreversibile, il crollo del prezzo difficilmente tornerà ai livelli pre-crisi di due anni fa, e contestualmente è diventato un tema politicamente scottante, come dimostrano anche gli accordi internazionali raggiunti alla Cop21 nel dicembre 2015, che vede il mondo impegnato nell’arduo compito di abbassare la temperatura globale di 1,5 gradi centigradi.

La Conferenza di Parigi ha creato un apposito organismo per valutare l’impatto finanziario del cambiamento climatico, e il rischio molto elevato è che giungano blocchi alle riserve di greggio: per quanto nei prossimi anni la produzione di energia dai combustibili fossili continuerà ad avere ancora un ruolo centrale, la macchina del cambiamento è già in moto e sembra altamente improbabile un ritorno alle origini, perché semplicemente il pianeta in cui viviamo non se lo può più permettere, una verità lapalissiana di cui oramai si sono convinti anche i grandi consumatori di carbone e petrolio come Cina e Usa. Ma c’è di più: un recente studio dell’università di Oxford mette in guardia anche sulle centrali elettriche, che potrebbero essere bloccate per motivi di salute pubblica. Non solo carbone e petrolio, ma anche i giacimenti di gas sono a rischio, nonostante sia stata considerata finora una fonte maggiormente pulita: in Europa il 30 per cento delle centrali a gas o a carbone ha più di 30 anni, il 60 per cento ne ha più di 20, per evitare gli effetti più catastrofici del cambiamento climatico, sostengono gli scienziati, dopo il 2017 non si dovrebbero più costruire impianti a carbone, a gas o a petrolio. Un terremoto è in atto nel mondo energetico per salvare il pianeta dal riscaldamento globale, e quando ad essere contagiati sono anche i massimi sistemi della politica e della finanza globale, vuol dire che non c’è più possibilità di tornare indietro. La salvaguardia del futuro passa necessariamente attraverso lo sfruttamento delle rinnovabili.

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