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Piano Lupo, l’abbattimento è davvero la soluzione migliore? Dati e studiosi dicono di no

Domani, giovedì 2 febbraio, si deciderà il futuro del lupo in Italia, durante la prossima Conferenza Stato-Regioni. L’ultima volta che fu approvato un Piano per la conservazione del lupo era il lontano 2002, e ora, tra le possibilità d’intervento, ci sarebbe, come ultima spiaggia, l’abbattimento legale selettivo del 5% della popolazione di questo antico canide, protetto per 46 anni. Le associazioni ambientaliste e una parte dell’opposizione politica hanno già espresso parere contrario, cercando invece di puntare su tutte le altre norme previste per una pacifica convivenza tra l’agricoltura e il lupo. Il primo sì per una possibile deroga alla normativa che lo protegge è arrivato, e adesso il futuro di questa specie affascinante attende una risposta. Abbatterne anche solo pochi esemplari è davvero la scelta più giusta? Cerchiamo di capirlo con esperti del settore, analizzando i diversi problemi, dal numero di esemplari agli attacchi, dai costi ai risarcimenti.

IL LUPO IN ITALIA: QUANTI SONO?
Da sempre ha abitato fiabe e leggende, ne siamo affascinati e allo stesso tempo lo temiamo: il lupo ha il suo areale originale nel lontano Olocene, circa 11mila anni fa, e abitava una vastissima zona che andava dall’Europa all’America settentrionale, in sostanza ovunque ci fossero ungulati selvatici, dai cinghiali ai caprioli. L’uomo non l’ha mai accettato troppo di buon grado, considerandolo principalmente un rivale nella caccia e un disturbo per le sua attività d’allevamento, tanto da portarne all’estinzione totale temporanea in alcune zone. In Italia, ad esempio nella zona delle Alpi, i lupi sono stati sterminati nei primi vent’anni del ventesimo secolo, confinandoli a sud del Po, e con una popolazione in continuo declino fino agli anni 70. Relegato in sostanza nell’area dell’Appennino centrale e meridionale, in quegli stessi anni si è cercato di proteggerlo dall’estinzione con delle leggi mirate, nazionali (cancellando il lupo dalle specie dall’elenco delle specie nocive nel 1976 e con la legge 157/92 rendendolo protetto) e internazionali (la Convenzione di Brera del 79 e la direttiva Habitat del 92, senza dimenticarci dell’Appendice II “Specie potenzialmente minacciata” dalla Convenzione di Washington del 1973 sul commercio di specie animali e vegetali in via di estinzione). Tutti questi interventi hanno portato a un ripopolamento del lupo nel nostro Paese, che è tornato ad abitare zone che non lo vedevano da molto tempo: nei primi anni ’90 vediamo così i primi branchi nelle Alpi occidentali per arrivare poi fino in Svizzera e nella zona francese al confine con il nostro paese. Ma quanti lupi ci sono adesso in Italia?

[Fonte Foto: IX Congresso di Teriologia Civitella Alfedena (AQ) maggio 2014]

Questo è uno dei fondamentali problemi che riguardano il cosiddetto ‘Piano Lupo’, che è stato contrastato da una parte dell’opposizione politica, principalmente dal Movimento Cinque Stelle, e da diverse associazioni animaliste, in primis la Lav e il WWF. Non esiste infatti un reale censimento recente dell’intera popolazione nel nostro paese. Nell’ultimo rapporto disponibile, risalente ormai al 2014, si faceva già riferimento alla mancanza di un programma di monitoraggio nazionale. Il risarcimento dei danni dovuti agli attacchi di questi predatori al bestiame è materia di competenza regionale, e il monitoraggio totale nazionale non è stato ancora raggiunto. In questo documento si parla di un’area di presenza stabile del lupo di circa 74mila chilometri quadrati (seimila dei quali sulle Alpi Piemonte-Liguria e Val d’Aosta) e di una stima della popolazione che s’attesta dai 1600 ai 1900 lupi. Recentemente proprio sul lupo e il suo monitoraggio sono intervenuti dei fondi europei, con il progetto LifeWolfsAlps, iniziato a settembre 2013 che prevede uno studio fino al 2018 per un budget totale di circa sei milioni di euro di cui quasi 4 milioni e 200 mila di contributo finanziario europeo. Come si legge sul sito dell’iniziativa, tra i compiti principali: “Oltre al monitoraggio, tra le attività previste dal progetto vi sono misure di prevenzione degli attacchi da lupo sugli animali domestici, azioni per contrastare il bracconaggio e strategie di controllo dell’ibridazione lupo-cane, necessarie per mantenere a lungo termine la diversità genetica della popolazione alpina di lupo. Altri interventi importanti riguardano infine la comunicazione, necessaria per diffondere la conoscenza della specie”.

Risulta quindi difficile capire a quanti esemplari faccia riferimento il famoso 5% del “Piano Lupo”: “Vorrei capire infatti il 5% di cosa? – racconta il Dottor Rosario Fico, responsabile del Centro Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria, sezione di Grosseto dell’istituto Zooprofilattico delle Regioni Lazio e Toscana – Non esiste nemmeno un metodo scientifico univoco nel monitoraggio della popolazione di lupi, specie per altro elusiva per definizione e caratterizzata da un estremo dinamismo. Non ci accorgeremmo nemmeno della sua presenza se non fosse per qualche uccisione di alcuni capi di bestiame o perché alcuni vengono magari investiti o ritrovati avvelenati”. I lupi sono davvero troppi?
“Partiamo dal fatto che non possiamo considerarlo un problema, ma un fenomeno – precisa il dottor Fico – Possono essere tanti rispetto al passato ma non necessariamente troppi. Io lo dico sempre, il lupo s’è salvato grazie ai cacciatori e all’aumento della popolazione di ungulati, cervi, caprioli e cinghiali. Dove ci sono le prede è normale che ci siano i predatori, e che aumenti il potere riproduttivo, una lupa può avere fino a 6/7 cuccioli, ma la regolamentazione delle nascite è sempre avvenuta in modo naturale. Se si pensa che all’interno di un branco quando la femmina alfa è attiva le altre non vanno nemmeno in calore”.

LA DIFFICILE CONVIVENZA UOMO-LUPO

Il rapporto tra il lupo e l’uomo è sempre stato difficile. Il lupo è spesso stato considerato un ostacolo ad attività come quelle dell’allevamento, essendo di fatto un predatore del bestiame allevato allo stato brado. Il malcontento quindi legato alla conservazione del lupo, non riguarda solo i fenomeni di bracconaggio (ad oggi ancora una delle cause principali di morte della specie) ma soprattutto il danno economico per gli allevatori. Come s’interviene? Il sistema di gestione dei risarcimenti viene effettuato a livello regionale non solo per i lupi ma anche per altri animali considerati d’interesse conservazionistico, come ad esempio l’orso o l’aquila reale. In un rapporto molto approfondito del dottor Rosario Fico sull’accertamento dei casi di predazione del bestiame domestico, possiamo leggere la lunga lista di passaggi della perizia medico-legale che portano all’accertamento. Sì, perché per ottenere il risarcimento, bisogna spesso essere certi che l’attacco sia stato perpetrato dal lupo e non da altre specie, come ad esempio i cani vaganti. Ogni regione è a sé: c’è chi, come la Regione Lazio (L.R n.17 02/05/95 con specifico riferimento alla L.R 48/1982) lo eroga se viene effettuata un accertamento entro i 45 giorni o altre dove viene dato in automatico se non viene fatto un accertamento entro le 48 ore, come in Basilicata: “Non esiste un metodo di accertamento standard per la morte del bestiame dovuta alla predazione dei lupi – continua il dottor Fico – Risulta quindi difficile quantificare la reale entità del fenomeno predatorio e la sua gestione. In Maremma ad esempio riusciamo, in collaborazione con la Forestale, ad analizzare il Dna del morso e stabilire se questo fosse un lupo o un meticcio”.

QUALE SOLUZIONE POSSIAMO APPLICARE?

“Abbattere il lupo non risolve il problema, è pura follia e non ha basi scientifiche – commenta il dottor Fico – Nel Parco dell’Abruzzo non si rilevano praticamente danni al bestiame, questo perché esiste una cultura della prevenzione con sorveglianza e reti elettrificate”. Uno degli snodi fondamentali sembra proprio essere un piano reale per la prevenzione degli attacchi dei lupi al bestiame, laddove vengano registrati: “I problemi maggiori, riguardanti la convivenza uomo-lupo, li registriamo nelle zone dove è ritornato, non in quelle che hanno sempre avuto a che fare con questo animale e che da sempre mettono in campo metodi preventivi di sorveglianza con i cani da pastore, come quello abruzzese, o in altre regioni dove vengono dati diversi incentivi per l’elettrificazione delle reti – commenta Elisabetta Rossi, responsabile per Regione Lombardia del progetto Life Wolfalps – Nelle zone dove il lupo è più presente siamo impegnati anche nell’azione anti-bracconaggio, con squadre specializzate affiancate da cani per l’individuazione dei bocconi velonosi”.

“Ogni ente regionale ha dei dati riguardanti le predazioni – commenta la dottoressa Rossi – quello che facciamo con Wolfalps è cercare di valutare i programmi di prevenzione dei danni. In Piemonte stanno sperimentando dei metodi di prevenzione che non si limitano alle recinzioni elettrificate e ai cani per la prevenzione dei bovini. Molto spesso vengono magari finanziate delle metodologie di prevenzione senza poi verificarne in modo specifico i risultati”. I lupi organizzati in branchi dove ci sono ungulati selvatici non predano il bestiame domestico. Avverrebbe in maniera maggiore se questi fossero solitari, smembrando i branchi esistenti, rendendoli solitari per dispersione.

IL BRACCONAGGIO

[Esempio di boccone avvelenato. Fonte Foto LifeWolfAlps]

Se dei lupi vivi non si possono avere ad oggi dati certi a livello nazionale, possiamo averne alcuni certi riguardo quelli morti, principalmente uccisi dal bracconaggio, che ad oggi rimane la causa più significativa di morte dei lupi. Nel 2012 ad esempio, in Piemonte, su 80 lupi registrati, 18 sono stati trovati uccisi: “È un fenomeno attuale, e in alcuni casi, con l’inasprimento dei rapporti tra uomo e lupo in alcune zone si verificano episodi spiacevoli di uccisioni eclatanti, mostrate come un monito. È il caso ad esempio della testa di lupo decapitata trovata ad Ormea” continua la dottoressa Rossi. Il fenomeno del bracconaggio, denunciato da diverse associazioni, rimane la causa primaria di morte. Il progetto Wolfnet, in collaborazione con Legambiente e Parco Nazionale della Majella, aveva diffuso, nemmeno un anno fa, i dati raccolti del triennio 2013-2015, parlando di 115 esemplari uccisi, di cui il 40% uccisi, e a due anni dalla fine del progetto, rilanciava la necessità di Ris dei Lupi, ovvero squadre specializzate nell’analisi del decesso dei lupi. Se si escludono da questi numeri quelli accidentali, perché investiti, gli altri sono riconducibili ad azioni illegali di bracconaggio, che vanno dalle armi da fuoco agli avvelenamenti fino ai lacci.

La carta di Sulmona del progetto Wolfnet evidenziava inoltre il problema di un incremento della conflittualità verso il lupo per sistemi inappropriati di risarcimento: troppo eterogenee, non standardizzate, e dispendiose, in termini di tempo ed economici, richiedendo quindi che l’indennizzo venisse erogato in un periodo non superiore ai 60 giorni ed effettuato dopo i controlli di personale specializzato. “Il fenomeno del bracconaggio e l’avvelenamento sono fenomeni nascosti, probabilmente sottovalutati e sottostimati anche come causa di mortalità del lupo, per questo sono importanti le squadre con i cani antiveleno proprio per provare a monitorare le statistiche” precisa la dottoressa Rossi di Life Wolfalps.

LEGGI L’INTERVISTA A UN CACCIATORE CONTRARIO A QUESTO PIANO LUPO

GLI INDENNIZZI PER I LUPI SONO COSì INGENTI RISPETTO AGLI ALTRI?
Sappiamo che ogni regione è a sé e che alcune hanno un alto tasso di presenza del lupo, come di cinghiali. Prendiamo come riferimento una zona con queste caratteristiche, leggendo la pubblicazione “Il lupo in provincia di Arezzo” viene specificato: “Sebbene, la presenza di un predatore, per un’amministrazione regionale, possa risultare in termini economici onerosa, il fenomeno della predazione al bestiame domestico appare meno grave se confrontato con altre problematiche di natura ambientale. Come termine di riferimento, sembra, infatti, opportuno riportare i costi annui d’indennizzo dei danni a carico delle coltivazioni agrarie e del soprassuolo boschivo da parte degli ungulati selvatici (in massima parte cinghiale): 610.710 euro (circa 7 volte superiore la cifra dei danni alla zootecnia provocata dai canidi). In Toscana infatti il cinghiale è l’ungulato selvatico che arreca più danno alle coltivazioni agrarie”. I cinghiali in questa zona, dati alla mano, fanno molti più danni dei lupi.

Nella stessa pubblicazione viene specificato che nel periodo 1998-2001 il costo per gli indennizzi della provincia di Arezzo è stata di 86.863 euro e che: “sebbene il fenomeno sia diffuso e coinvolga un gran numero di aziende, solo poche soffrono di un elevato numero di attacchi”. È vero anche che, come specificato nel documento del dottor Fico citato in precedenza: “Sia a causa della costante espansione del lupo, che sta ricolonizzando aree da cui era scomparsi da secoli, che il permanere di fenomeni di vagabondaggio canino, soprattutto nelle zone Centro meridionali, i casi di predazione sul bestiame domestico sono in aumento e pertanto l’entità degli indennizzi sta diventando, per molte amministrazioni, economicamente insostenibile”. Come specificato però più volte dagli studiosi, andrebbero rafforzate quei metodi di prevenzione che stanno riscuotendo più successo, rendendo inoltre il rimborso per gli allevatori più agevole.

LA QUESTIONE DEGLI IBRIDI
Si parla della pericolosità legata ai cosiddetti ibridi, ovvero gli incroci tra cani vaganti e lupi, anche se “è giusto parlare di meticciamento, perché fanno parte dello stesso genere e della stessa specie, tutti i cani discendono dal lupo – precisa il dottor Rosario Fico – il fenomeno era comunque noto fin dagli anni 80 quando venne rinvenuto un esemplare di lupo nero, un incrocio tra lupo e pastore tedesco. I casi di meticci lupoXcane avvengono quando ci sono pochi lupi e molti cani vaganti, spesso cani lasciati liberi dal padrone, non randagi. È sempre la lupa femmina a incrociarsi con il cane maschio, è stato accertato solo un caso del contrario in tutta Europa, ed è un fenomeno che, in caso di branco formato, non si presenta: la femmina rimane nel branco”. Non essendo un problema strettamente legato alla specie, risulta essere tale in materia di risarcimenti.

Ci sono infatti delle zone dove viene concesso l’indennizzo in modi diversi a seconda che si tratti di un attacco di lupo o cane, in alcune regioni come l’Abruzzo e la Toscana, in altre, come le zone sotto il cappello dei Parchi Nazionali, praticano indennizzi solo riguardanti la fauna selvatica, costringendo gli allevatori a diversi passaggi con diverse figure professionali, che cambiano anche qui da Regione a Regione: in Campania, ad esempio, sono i carabinieri o i vigili urbani o veterinari, che non hanno però necessariamente una specifica formazione.

Simona Buscaglia

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