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Non soltanto specie animali sono in via di estinzione, ma anche piante antiche: a lanciare l’allarme è la Confederazione italiana agricoltori, secondo cui sono a rischio almeno un quarto degli oltre 5mila prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Per questo motivo è stata stilata una lista di queste piante, che se curate opportunamente, potrebbero essere preservate ancora per lungo tempo: un patrimonio del valore di 11 miliardi se fosse pienamente valorizzato, più del doppio dell’intero comparto fondato sul turismo enogastronomico.
L’attenzione verso queste biodiversità è cresciuta costantemente nel corso degli ultimi anni, e per questo motivo sono fiorite associazioni, gruppi di piccoli agricoltori o vivaisti che stanno cercando di salvare queste specie antiche, che ormai non vengono più coltivate in obbedienza alle leggi di mercato, oppure perché hanno una resa sempre più scarsa a causa dei mutamenti climatici e soprattutto della cementificazione che sottrae terra alle colture. Ad esempio c’è chi in Trentino cerca di preservare le mele locali contro la tirannia della varietà Golden, americana, che ha ormai invaso circa l’80 per cento del mercato internazionale, come spiega il vivaista Alberto Ormezzoli al Corriere della Sera in un servizio dedicato: ‘Quello delle mele è un settore dai grandi numeri, fondato sulle coltivazioni intensive e la distribuzione nei supermercati. Noi, invece, puntiamo su una nicchia: e cioè su chi vuole prodotti locali, dai colori e sapori particolari. E negli ultimi vent’anni la vecchia cultivar è sempre più ricercata, anche perché è più resistente e non ha bisogno di pesticidi o fertilizzanti‘. Ci sono anche collaborazioni con l’estero, ad esempio un’associazione svizzera che custodisce semi di piante antiche, come la patata blu di Svezia, le coste dal gambo rosso e giallo, il mais del Ticino.
Questo interesse è frutto di una convergenza culturale ormai assodata, è l’etica dello slow food, del ritorno alla terra, di tanti lavoratori di città che scelgono di cambiare vita e andare a coltivare l’orto, dei mercatini di prodotti biologici locali sempre più affollati, mentre la grande distribuzione langue. Per salvare i semi antichi basta poco, come spiega Salvatore Sironi, vice presidente di Civiltà Contadina: ‘Frequentando i nostri corsi i soci diventano Custodi di semi: ogni anno gli inviamo un kit di semi selezionati che devono restituire a fine stagione con il doppio della quantità avuta in prestito. Abbiamo insegnato anche a coltivare le vecchie patate sulle ringhiere. In tutto, sono più di 2 mila le varietà che tuteliamo grazie all’azione di quasi 800 soci.‘.
Animali da allevamento: le specie da salvare
Analogo interesse da parte delle associazioni di agricoltori riguarda anche alcune specie animali da allevamento: è il caso ad esempio del pollo Ancona, una delle razze ovaiole più antiche e per questo ritenute inadatte all’allevamento in batteria. Ma vi sono anche specie estere come le pecore dell’Oberland, le galline svizzere o la capra dal collo grigio, che rischiano id sparire perché escluse dalle logiche di mercato.
La battaglia legislativa
La lotta ora prosegue dal punto di vista legislativo, affinché possano esserci delle tutele per queste specie vegetali ed animali in via di estinzione: ‘Il nostro obiettivo è promuovere i sistemi agricoli differenti da quelli tradizionali. Ora il sistema incentiva gli agricoltori a comprare nuovi semi all’inizio di ogni stagione. Noi invece vogliamo che siano spinti a riseminare quelli che hanno già prodotto in modo da sviluppare le varietà locali‘, dichiara Riccardo Franciolini di Rsr. Qualcosa in Europa si sta già muovendo, ora bisogna far comprendere come questa sfida alla preservazione non sia un mera operazione nostalgica, ma una necessità tanto ecologica quanto economica. Il paradosso della globalizzazione infatti, è che si intensifica ogni anno di più il bisogno di preservare la propria identità culturale, che passa anche nelle piante antiche.