Piercamillo Davigo, membro del pool Mani Pulite ed ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura, è stato condannato a 15 mesi di reclusione con l’accusa di rivelazione di un segreto d’ufficio.
A quanto pare Davigo ha diffuso nel 2020, all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura, dei documenti riservati riguardanti il “caso Amara”.
Piercamillo Davigo è un membro storico del pool Mani Pulite e fino al 2020 è stato un membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Ora, il tribunale di primo grado lo ha condannato a 15 mesi di carcere per rivelazione di segreto d’ufficio.
A quanto pare Davigo avrebbe diffuso, all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura, alcuni documenti riservati, riguardanti il cosiddetto “caso Amara”.
Il caso pende il nome del rinomato avvocato Piero Amara, il quale per anni è stato consulente di Eni. In particolare, all’interno dei documenti incriminati, vi erano delle confessioni di Amara, in cui l’avvocato faceva riferimento ad una presunta organizzazione segreta, di nome “Ungheria”.
Affermando, inoltre, che l’attività dell’organizzazione sarebbe stata in grado di influenzare la vita politica e giudiziaria dell’intero paese. All’interno dei documenti vi erano anche gravissime accuse nei confronti di figure di spicco del mondo politico-giudiziario italiano.
A fornire la documentazione a Davigo sarebbe stato il pubblico ministero, Paolo Storari. Questo perché, a quanto pare, il pm era insoddisfatto di come i giudici Francesco Greco e Laura Pedio stessero gestendo il caso.
Davigo analizzò i documenti e li condivise con altre 11 persone all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura. In un secondo momento, poi, anche diverse testate giornalistiche riuscirono ad ottenere tali documenti.
Davigo, oltre ad essere stato condannato ad un anno e tre mesi di carcere, dovrà pagare anche un risarcimento di 20mila euro nei confronti dell’ex cancelliere del Consiglio Superiore della Magistratura Stefano Ardita, il quale si era costituito parte civile all’interno del processo.
L’ordinamento italiano è uno dei pochi ordinamenti europei in cui vi è una disciplina completa e unitaria riguardante il segreto di stato. In particolare, in Italia vi sono due leggi di riferimento.
La prima è la legge del 1977, la quale fornisce le linee guida per la gestione del segreto all’interno dell’ordinamento italiano. Dando vita anche a forme di regolamentazione dei servizi di intelligence.
La seconda legge di riferimento è quella del 2007, la quale introduce una nuova disciplina riguardante il segreto di stato e l’intelligence. Fornendo, inoltre, una nuova definizione di segreto, inteso come quell’insieme di “atti, informazioni e documenti la cui rivelazione potrebbe mettere in pericolo l’integrità della Repubblica, l’indipendenza e la sicurezza dello stato”.
Specificando che l’accesso a tali informazioni, atti e documenti, è consentito solo a specifiche categorie di soggetti che svolgono funzioni essenziali in elazione ad essi e che sono necessariamente tenuti a mantenere il segreto.
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