La sera del 17 aprile 1991, Pietro Maso, aiutato dagli amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza, e Damiano Burato, uccideva entrambi i genitori, Antonio Maso e Maria Rosa Tessari.
L’obiettivo era quello di accaparrarsi in anticipo la sua fetta di eredità. Condannato a trent’anni di reclusione, dopo essere stato ritenuto pienamente capace di intendere e di volere, è uscito dal carcere di Opera il 15 aprile 2013 grazie all’istituto dell’indulto e ad altri benefici di legge.
Un delitto, quello architettato da Maso, rimasto impresso nell’immaginario collettivo perché strettamente legato ad un movente turpe come quello economico. È infatti capace di scuotere le coscienze l’idea che un ragazzo di soli diciannove anni possa determinarsi ad uccidere i propri genitori architettando un piano diabolico come quello organizzato da Pietro. Un crimine, quindi, in grado di mettere in discussione i valori fondamentali del bene, del male e del loro significato rispetto al rapporto genitori figli.
Un parricidio sanguinario di inizio anni ’90 che ricostruiamo proprio perché raccontato all’interno del programma di Giancarlo De Cataldo, Cronache criminali, in onda questa sera su Rai1 alle 23.35 con la produzione di Verve Media Company e Rai Approfondimento.
Ad intervistare Pietro Maso sono state le autrici di puntata, Marina Loi e Flavia Triggiani note per Lady Gucci, la Vera storia della Uno bianca e molti altri documentari. Le due “Lady Crime” raccontano l’intervista concessagli da Pietro Maso come segue: “Abbiamo dovuto insistere molto per convincere Pietro Maso a rilasciarci l’intervista e aprirsi per raccontarci il ‘nuovo’ Pietro. Infatti, ci ha dichiarato che non avrebbe mai più voluto comparire in programmi in cui si parlava dell’omicidio dei suoi genitori. Da adesso in poi vuole parlare solo della sua Onlus, la Pietra Scartata. Nel suo percorso di riqualificazione Maso ha deciso di dedicarsi agli ex detenuti. La sua esperienza di difficile reinserimento fuori dal carcere può dunque essere di aiuto per altre persone che hanno scontato la loro pena. È stata un’esperienza molto forte, la nostra speranza è che lui sia veramente cambiato. Sarebbe la dimostrazione che si può essere un’altra persona anche dopo aver compiuto un atto così spaventoso”.
Insomma, una prima visione esclusiva da non perdere quella offerta nella seconda serata di Rai 1. In attesa della puntata, alla quale anche io ho preso parte nella veste di criminologa, ripercorriamo tutte le tappe salienti del parricidio più noto d’Italia.
Pietro Maso, nel concretizzare il suo obiettivo, non è da solo. Al contrario, alla mattanza partecipano anche tre ragazzi, i cosiddetti amici del “bar John”. Ragazzi deboli, poco istruiti, in cerca del loro posto nel mondo e che vedono in Maso il leader carismatico che nel loro intimo hanno sempre sognato di diventare. Il primo ad essere irretito da Pietro è Giorgio Carbognin, amico del cuore nonché suo delfino. Un ragazzo profondamente timido ed insicuro attratto come una calamita dalla personalità di quest’ultimo. Seguono a ruota Paolo Cavazza, 19 anni, e Damiano Burato, di soli 17, il minorenne del branco.
Antonio Maso e Maria Rosa Tessari hanno tre figli: Nadia, Laura e Pietro. Quest’ultimo si differenzia caratterialmente fin da subito dalle sue sorelle, mostrando tratti narcisistici e di egocentrismo sin dalla sua adolescenza. Conduce una vita sfarzosa, si comporta da ereditiere, sfoggia continuamente fidanzate differenti ed utilizza le banconote da cinquantamila lire per accendere le sue sigarette.
Proprio questa sua personalità lo induce a circondarsi non di amici, ma di adulatori. Consapevole dell’influenza che è in grado di esercitare sugli stessi.
La decisione di uccidere Antonio e Maria Rosa diventa inevitabile quando Giorgio dilapida – dietro espresse direttive di Pietro – un prestito bancario di venticinque milioni di lire, ottenuto con la garanzia del datore di lavoro. Pietro allora decide di aiutare l’amico a restituire i soldi falsificando la firma della madre su un assegno. A quel punto, però, non può rischiare di essere scoperto. Maso, che già si atteggiava da ereditiere, decide di esserlo concretamente nei fatti. E riesce così piuttosto agevolmente a convincere i suoi gregari promettendo loro di ripartire una fetta di eredità. Il quartetto diabolico si arma così di pentole, bloccasterzo, spranga di ferro e padelle.
L’organizzazione del piano criminale è puntuale. I ragazzi indossano delle tute per proteggersi dagli schizzi di sangue ed utilizzano delle maschere per non essere riconosciuti. Addirittura, Burato, Carbognin e Cavazza indossano un costume da diavolo.
Esattamente cinquantatré sono stati i minuti impiegati per uccidere Antonio e Maria Rosa. Pietro, Damiano Paolo e Giorgio, hanno atteso i coniugi di ritorno da Lonigo. Alle ore 23.10 Antonio entra in garage con l’auto, ma si rende conto che manca la corrente. In verità, è stato Pietro a svitare la lampadina per mantenere l’ambiente al buio e concretizzare così il piano.
A quel punto l’uomo sale in cucina per controllare il contatore. Lì, ad attenderlo, ci sono Pietro e Damiano che si scagliano contro di lui: Pietro lo colpisce con un tubo di ferro, Damiano con una pentola. I due, come se non bastasse, gli calpestano la testa. Preoccupata di non veder rientrare il marito, sale in casa anche Maria Rosa. La donna viene aggredita. E questa volta partecipa anche Giorgio armato di bloccasterzo. Rosa però non muore subito. Così, Pietro decide di soffocarla infilandole del cotone in gola e chiudendole in faccia un sacchetto di nylon.
Dopo aver consumato il delitto, Paolo e Damiano fanno rientro a casa. Per crearsi un alibi, invece, Pietro si reca insieme a Giorgio nelle due discoteche di paese. Per inscenare il rinvenimento dei corpi, e spacciarsi per essere stato l’unico a sopravvivere alla strage familiare, avverte simultaneamente i vicini che vedono sbucare un paio di gambe mentre salgono le scale dell’abitazione della famiglia Maso.
Nella fase iniziale delle indagini, il piano di Pietro sembra funzionare: gli investigatori abbracciano la sua versione. Seguono la pista di un omicidio conseguente ad una rapina finita male, ma ben presto emergono tutte le anomalie di una simile ricostruzione. Anzitutto, mancano nell’abitazione segni di scasso. I presunti ladri dopo aver aperto i cassetti, anziché scappare con la refurtiva, hanno sparso il contenuto sul pavimento. Perché perdere tempo?
Un assassino commette mediamente venti errori. La maggior parte per negligenza ed imperizia. Dunque, questo passo falso, unitamente alla compostezza con la quale Maso affronta la morte dei genitori, spinge gli inquirenti ad andare oltre. Pietro, per niente disperato, crolla durante uno degli estenuanti interrogatori a due giorni dal delitto. È lui, insieme ai suoi tre complici, l’assassino di Antonio e Maria Rosa.
I delitti perfetti non esistono. E Maso, dopo che i suoi complici si erano elogiati in giro per il piano da loro organizzato, viene arrestato con l’accusa di aver ucciso entrambi i genitori. Con le spalle al muro, il giovane confessa.
Come accade nella maggior parte dei parricidi, la frustrazione e il mito del benessere economico a tutti i costi è alla base del duplice omicidio dei coniugi Maso. A ciò deve anche aggiungersi il divario generazionale che si era creato tra Pietro e la sua famiglia. Un divario ormai diventato incolmabile.
Pietro, Giorgio, Damiano e Paolo vengono arrestati per duplice omicidio volontario premeditato. Con la contestazione delle aggravanti della crudeltà e dei futili motivi. A Pietro verrà anche contestata l’aggravante del vincolo di parentela.
In aula, mentre la morte dei genitori faceva ormai solo da sfondo, c’è stata sin da subito battaglia tra perizie e consulenze in ordine alla capacità di intendere e di volere degli imputati. Secondo il Prof. Vittorino Andreoli, consulente dell’accusa, la cui versione è stata poi accreditata in sede di condanna, Maso era affetto da un disturbo narcisistico della personalità medio lieve. Dunque, come tale, non in grado di avvalorare la totale infermità mentale dell’assassino. Per queste ragioni, a Pietro venne riconosciuta la semi infermità al momento del fatto. Aveva agito in forza di un male morale profondamente radicato e condotto alle sue estreme conseguenze.
Per questo, con sentenza pronunciata il 29 febbraio 1992, Maso è stato condannato in primo grado a trent’anni di reclusione. Condanna poi confermata anche in via definitiva dalla Cassazione. Mentre Paolo, condannato a 13 anni, è stato giudicato dal tribunale per i minorenni, Cavazza e Carbognin sono stati condannati a 26 anni di reclusione ciascuno.
Dopo l’emersione alle luci della cronaca della vicenda, fuori dalle sbarre era nato un vero e proprio fan club in sostegno di Pietro. Il ragazzo iniziò così a ricevere in cella centinaia di lettere di stima da parte dei coetanei e da parte di altrettante di ragazze innamorate. Maso è uscito dal carcere di Opera dopo 22 anni di reclusione. Ed oggi, ad oltre trent’anni dall’omicidio, chiede di essere dimenticato. Ma è davvero così?
Pietro Maso è un uomo che non ha mai perso l’attitudine, e la volontà, di stare al centro della scena, anche quando non è quella del crimine. Negli anni è riuscito a diventare personaggio, pur nell’accezione negativa di “mostro della porta accanto”. Oggi chiede l’oblio, ma contrariamente a quanto afferma con le parole, è il primo a non voler essere dimenticato. Interviste, matrimonio e divorzio, ricovero in clinica psichiatrica per disintossicarsi dalla cocaina. Persino la denuncia al rapper Fedez per averlo citato in una delle sue canzoni. Modalità che tradiscono l’amore viscerale di Maso per i riflettori, persino quando ad entrare nel cono di luce è la parte peggiore di sé.
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