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Pisky-Radkivski: cos’è accaduto nel paese paragonato a una mini Auschwitz

Pisky-Radkivski è un paese situato al confine tra le regioni di Kharkiv e di Donetsk, quindi un luogo di frontiera ed è ormai conosciuto per le atrocità che sono state qui commesse dai soldati russi durante la loro occupazione. Ma cos’è accaduto davvero in quei mesi?

Pisky – Radkivski – Nanopress

Era il 15 aprile quando le truppe russe arrivavano a Pisky-Radkivski. La loro invasione è durata cinque mesi (fino alla fine di settembre), ma è soprattutto quello che è successo nella cosiddetta camera delle torture ad aver scosso tutto il mondo. Ecco quello che sappiamo fino ad ora.

Pisky-Radkivski: cos’è accaduto davvero durante l’occupazione russa?

Si chiama Pisky-Radkivski ed è ormai nell’immaginario comune uno dei luoghi chiave della guerra in Ucraina, conosciuto soprattutto per essere il teatro “degli orrori”, nel senso più profondo e spaventoso del termine. Un luogo questo, definito addirittura una mini  Auschwitz per la portata di quello che è accaduto durante i cinque mesi di occupazione russa.

Situato al confine tra le regioni di Kharkiv e di Donetsk, è un luogo di frontiera, ma non è sicuramente solo per la sua posizione geografica considerato che il 40% della popolazione parteggiava per la Russia. E ha continuato a farlo anche dopo il 15 aprile, quando gli invasori sono arrivati a bordo dei loro carri armati per occupare il paese.

Quello che è successo fino alla fine di settembre, quando finalmente hanno lasciato la zona, liberandola, lo possiamo immaginare fino ad un certo punto, poi dobbiamo basarci sui racconti della gente del posto, che ancora oggi però ha dei dubbi sull’atrocità di quello che è successo.

Il luogo simbolo dell’occupazione russa è la cosiddetta casa delle feste, che poi tante feste non ospitava, almeno non per tutti. Un luogo da film horror da molti punti di vista, ma che è reale al 100% e dimostra che a volte le scene più spaventose in assoluto solo quelle di vita vissuta, che nessuna pellicola potrà mai superare in termini di terrore.

A guardarla da fuori, a detta di chi lo ha visto con i suoi occhi, la casa delle feste sembra semplicemente una villetta di mattoni vecchia, sporca, situata vicino alla ferrovia, circondata da un cancello di ferro verde, oggi finalmente chiuso. Tutto intorno c’è il pergolato, c’è il capanno per gli attrezzi, un cortile pieno di roba probabilmente inutile. E ci sono delle scritte lasciate dai russi, a ricordare che lì ci sono stati eccome e la loro traccia che ormai è indelebile in tutti i sensi.

“Entra, non aver paura. Quando esci, non piangere. Ps: fanteria”, “Gli uomini migliori della Russia stavano comprando hashish” (barra di un brano rap), “Ecco come passiamo i migliori anni della nostra gioventù in Ucraina, dove si fa la guerra”, sono alcuni esempi di ciò che gli invasori hanno voluto che sapessero tutti, anche chi nella villa non ci è mai entrato ma l’ha vista solo da fuori, anche chi ne ha solo sentito parlare.

Da quell’ormai famosissimo 15 aprile fino alla fine di settembre – che probabilmente per molti abitanti del posto ha rappresentato il periodo più lungo della loro vita, nonostante fossero “solo” cinque mesi – il cancello era quasi sempre aperto fino a tardi di notte.

Gli abitanti del posto giurano di aver sentito di tutto provenire dall’interno della casa: musica ad altissimo volume, voci femminili, urla, pianti, ma anche risate. Alcune ragazze ci entravano volontariamente, facendosi pagare con vodka e sim russe. Alcune ridevano e ballavano, altre piangevano, altre ancora si prostituivano. Addirittura alcune di loro sono andate via con i russi quando hanno liberato il paese. Alcune, sia chiaro, non tutte.

Alla fine di settembre ci ha pensato la polizia locale a ricostruire quello che era accaduto davvero all’interno di quella villa (e comunque in tutta la zona). Secondo le autorità ucraine diversi uomini hanno subito maltrattamenti in uno scantinato – definito ormai camera delle torture – situato all’interno di un complesso vicino alla palazzina dell’amministrazione.

Corone dentali d’oro – Nanopress

Cos’è accaduto esattamente lì sotto? Nelle ultime settimane si è detto davvero di tutto, ma ecco come stanno davvero le cose.

La verità sulla camera delle torture

Esattamente all’interno della cosiddetta camera delle torture era stata rinvenuta solo poche settimane fa una scatola piena di corone dentali d’oro, che si credeva fossero state letteralmente strappate via dalla bocca dei cittadini ucraini (il tutto era stato documentato dal ministero della Difesa di Kiev che aveva pubblicato degli scatti su Twitter). Alla fine si è scoperto che in realtà queste provenivano da un dentista sessantenne del luogo, Sergey, che ne ha rivendicato la proprietà, sostenendo che fossero il risultato di più di 30 anni di attività. Secondo quanto ha raccontato ai giornalisti di BILD, quelle corone gli sarebbero state sottratte dai soldati russi, che pensavano fossero d’oro vero (anche se in realtà erano fatte di acciaio inossidabile).

A prescindere da ciò, però, poco cambia, perché qualcosa in quello scantinato è accaduta eccome, come testimoniano le dichiarazioni dei residenti della zona, che hanno ammesso di aver udito urla costanti provenire dall’edificio per giorni e giorni. La polizia ha trovato al suo interno cavi elettrici, corde e addirittura una lettera contenente l’interrogatorio fatto a uno dei detenuti. Ma chi erano questi ultimi? “Residenti locali, soldati dell’ATO, prigionieri di guerra”, come ha scritto su Facebook Sergi Bolvinov, capo del dipartimento investigativo della polizia nella regione di Kharkiv.

C’è da dire che questa è solo una delle camere di tortura trovate in tutta l’Ucraina. Una decina almeno è stata scoperta nella città di Izium, tanto per fare un esempio concreto e si pensa che ce ne siano altre ancora da trovare.

Tornando però al caso specifico di Pisky-Radkivski, tutta la cittadina era letteralmente invasa delle truppe russe e i soldati qui hanno fatto accadere di tutto davvero. Alcuni entravano nelle case delle persone direttamente, minacciando le donne con i fucili, altri rubavano di tutto, tanto da costringere alcuni abitanti a nascondere i beni di maggior valore. A detta di molti di questi ultimi comunque tutti sapevano e sanno esattamente cos’è accaduto, ma molti non vogliono denunciare lo stesso. Il motivo? La vergogna.
Ad oggi comunque il numero complessivo delle vittime del luogo non è conosciuto, ma quello che è chiaro a tutti è che tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi nessuno lo dimenticherà mai.
Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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