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Plastica biodegradabile esiste? Ricercatrice Onu sfata questo mito

La plastica biodegradabile esiste davvero oppure si tratta di un falso mito? Secondo alcuni scienziati non vi è dubbio che si tratti del secondo caso. In particolare, a destare di recente un certo interesse sono state le affermazioni rese al quotidiano inglese Guardian da Jacqueline McGlade, a capo del team di scienziati dell’UNEP, l’agenzia dell’Onu per l’ambiente, a margine dell’Assemblea che si è tenuta a Nairobi in questi giorni. In poche parole la scienziata ha smontato la diffusa credenza secondo cui sacchetti e bottiglie realizzate in plastica biodegradabile siano meno pericolose per l’ambiente rispetto agli altri materiali, poiché si degrada difficilmente, specialmente in mare, contribuendo ai gravi danni che subiscono le biodiversità e le acque del pianeta.

Nonostante le buone intenzioni insomma, la plastica biodegradabile non aiuta affatto l’ambiente quando viene dispersa, poiché si dissolve soltanto a temperature pari a 50 gradi centigradi, il che non avviene negli oceani. Inoltre, aggiunge McGlade, molti di questi oggetti ‘non sono galleggianti, così affondano e non vengono esposti ai raggi ultravioletti, che dovrebbero dissolverli‘. Un rapporto dell’UNEP sui rifiuti plastici in mare, presentato all’Assemblea di Nairobi, ha illustrato dati molto preoccupanti sulla presenza di materiali che inquinano l’acqua del mare: si stima infatti che nel 2014 siano finite negli oceani da 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate di plastica, all’interno di una produzione mondiale che ha superato i 311 milioni di tonnellate. Ogni chilometro quadrato di mare al mondo ha in media 63.320 particelle di microplastica galleggianti, intese sotto i 5 millimetri di diametro, che intossicano pesci e uccelli marini, finendo poi nella catena alimentare.

Quale soluzione di fronte a un tale gigantesca produzione di materiale plastico? In attesa che la scienza trovi materiali alternativi realmente rispettosi dell’ambiente, magari come la bottiglia fatta di alghe che è stata inventata di recente da uno studente islandese, per il momento la soluzione migliore per eliminare l’inquinamento da plastica, o quanto meno ridurlo, restano la raccolta differenziata e il riciclaggio. Secondo McGlade queste buone pratiche dovrebbero essere attuate con maggiore efficacia soprattutto nei Paesi più poveri del mondo, spesso trasformati in discariche a cielo aperto con il contributo di molti rifiuti proveniente dal ricco Occidente. La scienziata ha inoltre spiegato che alcune delle sostanze che vengono aggiunte alla plastica per renderla biodegradabile rendono più difficile il riciclo: pur registrando la buona volontà di contribuire a un corretto smaltimento, la scelta di utilizzare plastica biodegradabile potrebbe comportare dunque conseguenze molto più negative del materiale ‘normale’, e come tale andrebbe abbandonato dalla filiera produttiva.

Giulio Ragni

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